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Renziani e grillini al potere bravia collezionare fallimenti

Altro che rivoluzione. Rossi, Serracchiani e Pizzarotti si vantano di essere il "nuovo che avanza". Ma nelle Regioni o nelle città in cui governano cambinano solo disastri: i cittadini sono sul piede di guerra

Renziani e grillini al potere bravia collezionare fallimenti

Per capire il centro lo si deve guardare dalle periferie: ha ragione papa Francesco. Luoghi dove si agisce lontano dai riflettori di giornali e tv, dove i cacicchi dei partiti operano indisturbati. Qui si capisce di quale pasta sono fatti i rottamatori che spopolano a Roma, di che cosa sono davvero capaci, come intendono la gestione del potere, come attuano le riforme sul territorio, nell'Italia «vera», quella delle città e delle regioni, dove ognuno conduce la normale vita quotidiana. Qui si constata che grillini e renziani, il nuovo che avanza nella politica nazionale, non sono poi così diversi: macchine da consenso alle primarie e nelle urne, devastatori - più che rottamatori - nelle amministrazioni locali.

A Parma il sindaco è un grillino quarantenne eletto plebiscitariamente (contro un candidato Pd). Uno strappo con la vecchia politica in una città travolta da indagini e arresti dove tutti dicevano: chiunque arrivi può fare soltanto meglio. Invece no. Gli argini del torrente Baganza, a sei mesi dall'alluvione di ottobre, sono ancora un campo di battaglia cosparso di alberi e pali abbattuti, con il mozzicone del ponte pedonale crollato proteso nel vuoto e i giardini delle abitazioni ancora impraticabili. Le tasse locali sono quasi raddoppiate, eppure tagli al bilancio colpiscono i servizi sociali: scuole, asili (230 posti in meno), disabili e insegnanti di sostegno. Migliaia di famiglie sfilano nelle vie ducali con cortei e fiaccolate che il sindaco Federico Pizzarotti applaude da lontano senza fare nulla perché non si ripetano.

L'inceneritore contro cui «Pizza» si era battuto in campagna elettorale è entrato in funzione, ed è una fortuna perché altrimenti Parma sarebbe sommersa dai rifiuti. E in quartieri semicentrali come San Leonardo e Pablo i cittadini devono organizzare ronde contro lo spaccio e il degrado, dalle 23 alle 5 del mattino, perché il sindaco non manda i vigili sul territorio di notte. Preferisce piazzarli di giorno davanti alle scuole per risparmiare i contributi alle associazioni che impiegavano anziani volontari. Il colmo della beffa è la faccia di bronzo esibita da Pizzarotti. Invece di darsi da fare, al popolo esasperato dice: bravi, sono con voi, la città è dei cittadini che si organizzano.

Protestano in piazza Garibaldi anche i dipendenti dell'aeroporto che fra due mesi potrebbe chiudere; è in crisi il Teatro Regio. Giuseppe Pellacini, consigliere di minoranza (Unione di centro), ha denunciato in procura le occupazioni abusive di numerosi edifici cittadini. Potrebbe lambire il municipio anche il crac del Parma calcio: il comune vanta crediti per 1.400.000 euro rivendicati con grave ritardo e difficili da recuperare.

Per tagliare volontari e insegnanti di sostegno, lasciare in abbandono l'alveo dei fiumi o ignorare le richieste di pulizia e sicurezza, basta un sindaco qualunque. La retorica della novità e della rottamazione è buona soltanto per la campagna elettorale, perché le periferie – prima e dopo il voto – rimangono dimenticate. I riflettori sono puntati sui palazzi del potere romano (e sulle procure). Nel resto del Paese vige la regola gattopardesca: cambiare tutto perché nulla cambi.

I rottamatori ne fanno tesoro. Vale per gli amministratori locali a cinque stelle ma anche per la «nuova» sinistra del premier­segretario Matteo Renzi. Nelle periferie d'Italia il Pd è il partito del gattopardo. Prendiamo due regioni simbolo del nuovo corso: la Toscana, patria di Renzi e del suo «giglio magico», governata da Enrico Rossi che si è rapidamente convertito al verbo rottamatore, e il Friuli Venezia Giulia, amministrato da una dei vicesegretari Pd, Debora Serracchiani.

Si dice che la sanità toscana sia tra le migliori d'Italia. Eppure chi sa che Rossi è indagato, con un funzionario e un consulente, per il crac dell'azienda sanitaria di Massa Carrara? L'ex direttore amministrativo dell'Asl delle Apuane, Ermanno Giannetti, è stato condannato a 5 anni per peculato: si sarebbe intascato un milione e mezzo di euro investiti in gioielli, Rolex, immobili, auto e un allevamento di levrieri. Era stato proprio il governatore a denunciare la voragine, 60 milioni di euro saliti a 420 nel corso delle indagini; ma due dirigenti da lui accusati sono stati prosciolti da una sentenza che preoccupa il governatore: nelle motivazioni si legge infatti che «la giunta non poteva non sapere». Tre telefonate intercettate tirano in ballo il signor Rossi, accusato di falso ideologico.

Un altro buco, da 10 milioni di euro, è stato scoperto nel 2012 nei bilanci della Asl 7 di Siena, nonostante fossero certificati da una società esterna. Qui la denuncia partì dal direttore generale e dai sindaci revisori. Scandalo nello scandalo, denunciato dal consigliere regionale Stefano Mugnai (Forza Italia): il capo del settore bilanci dell'Asl senese, Tommaso Grazioso, era un uomo di fiducia della giunta regionale che lo aveva scelto come perito nell'inchiesta sul disavanzo di Massa Carrara. L'assunzione di Grazioso (di cui è stato chiesto il rinvio a giudizio per aver alterato i conti) era stata decisa dall'allora direttore generale dell'Asl 7, Laura Benedetto, indagata dalla procura di Siena. La signora è la moglie di Rossi. Per un'altra nomina, un dirigente scelto senza selezione pubblica, Laura Benedetto è stata rinviata a giudizio dal gup di Siena con altri tre funzionari.

Nella legislatura che sta per chiudersi, la regione è intervenuta più volte per coprire i disavanzi della sanità toscana: 125 milioni soltanto per il 2011. Ma il peggio è quanto ha rivelato ancora Mugnai, cioè che mancano i consuntivi 2013 di tutte le aziende sanitarie e ospedaliere. Dovevano essere adottati entro il 15 aprile 2014 e poi inviati alla giunta regionale per l'approvazione entro il 31 maggio. Non è avvenuto. Per Rossi è tutto magicamente a posto, ma senza una contabilità in regola qualsiasi verifica è impossibile.

Che cosa combina invece Debora Serracchiani, braccio destro di Renzi, presenza fissa nei Tg Rai, la quale passa più tempo a Roma che a Trieste (molti denunciano una sorta di conflitto di interessi)? Nella regione autonoma ha legato la sua azione alla riforma degli enti locali. Al posto delle quattro province nasceranno 17 Unioni territoriali intercomunali (Uti), cioè aggregazioni di comuni i cui vertici non sono eletti ma nominati. L'unificazione è obbligatoria soltanto per i comuni più piccoli. E gli altri perdono una serie di competenze accentrate in regione. Meno decentramento, più burocrazia.

Una riforma cervellotica, calata dall'alto, difficile da applicare e sganciata dalle esigenze degli enti locali. La regione è scossa da proteste, da capoluoghi a guida Pd come Pordenone fino alla zona di Osoppo, dove i militanti hanno stracciato le tessere del partito. Molti primi cittadini si preparano alla guerra: chiederanno di aderire a Uti diverse da quelle decise dalla Serracchiani, qualcuno minaccia ricorsi per incostituzionalità o di indire referendum consultivi locali contro la riforma.

Lontano dalle luci della ribalta, là dove l'attenzione sulle loro gesta è meno assillante, i rottamatori vandalizzano anche le forme di autonomia riconosciute dalla Costituzione che la sinistra stessa rafforzò con la riforma del titolo V del 2001. In Friuli Venezia Giulia, per esempio, la Serracchiani avrebbe parecchi strumenti anti-crisi. Invece si è dimostrata incapace, come ha messo in evidenza il suo predecessore Renzo Tondo: ha approvato un fondo di 30 milioni di euro in tre anni per le politiche attive del lavoro senza una legge per impiegare le risorse. Ogni gruppo ha presentato una proposta diversa: i grillini vogliono il reddito di cittadinanza, Sel il reddito minimo garantito, Ncd il reddito fiduciario. Non si è ancora fatto nulla.

Altro grimaldello anti-crisi sarebbe la cosiddetta fiscalità di vantaggio: alleggerire le aliquote Irap e Irpef in zone depresse o di confine. In una regione dove le aziende sono tentate di emigrare in Austria o Slovenia per sfruttare un sistema tributario più conveniente, la fiscalità di vantaggio è un modo per sostenere l'attività produttiva e l'occupazione locale. Finora, però, la Serracchiani non è andata oltre l'organizzazione di convegni e tavole rotonde.

Evviva i rottamatori.

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