Cronache

Imprese incatenate, siamo come la Grecia

Fare impresa in Italia rimane un'impresa disperata. Servono in media 233 giorni per ottenere una licenza edilizia: sono quasi otto mesi, ma siccome in una settimana si lavora 5 giorni su 7 il tempo reale d'attesa si allunga di altri due mesi, e in tutto fanno 10

Imprese incatenate, siamo come la Grecia

Fare impresa in Italia rimane un'impresa disperata. Servono in media 233 giorni per ottenere una licenza edilizia: sono quasi otto mesi, ma siccome in una settimana si lavora 5 giorni su 7 il tempo reale d'attesa si allunga di altri due mesi, e in tutto fanno 10. Bisogna mettere in preventivo 124 giorni lavorativi perché una delle tante società che si contendono il mercato dell'energia si degni di concedere un allacciamento alla rete elettrica, e sono sei mesi. Pagare le tasse è un'occupazione che in media assorbe 269 ore di lavoro: i parenti poveri della Grecia se la cavano con molto meno, 193 ore. E non parliamo dei tempi della giustizia civile, delle tutele offerte a chi non viene pagato o deve fare in qualche modo rispettare un contratto. In questo caso la pazienza deve essere superiore alla rabbia perché nel Belpaese un triennio non basta: in media sono necessari 1185 giorni, tre anni e tre mesi.

Dal 2002 la Banca mondiale ha lanciato un progetto, chiamato Doing Business (fare impresa), per controllare e paragonare le regole per le aziende applicate nel mondo. Regole che per alcuni sono autostrade, per altri (tra cui noi) un capestro. Gli esperti di Doing Business incrociano dati e normative; intervistano a campione un pool di operatori in ogni Paese composto in massima parte da imprenditori e professionisti; infine redigono medie, indici e graduatorie di sintesi che forniscono un panorama della libertà d'impresa in 189 economie mondiali. I risultati, almeno per noi, sono deprimenti. E l'esperienza quotidiana di migliaia di imprenditori conferma questa drammatica realtà.

Le statistiche indicano un riferimento, una pietra di paragone. Come poetava Trilussa, c'è chi mangia due polli e chi digiuna ma in media ne hanno sbafato uno a testa. L'utilità di questi esercizi è che a lungo andare, comparate nel tempo, le indagini campionarie mettono in luce tendenze, peggioramenti o miglioramenti, e danno un'idea di come evolve un certo fenomeno. E proprio l'andamento negli anni delle classifiche di Doing Business fotografa il comportamento sconcertante dell'Italia, nonostante qualche lieve progresso.

CLASSIFICA DA VERGOGNA

Nella classifica complessiva della facilità del fare impresa ci trovavamo al 52º posto nel 2014 e siamo scesi al 56º. Nel 2010 eravamo al 51º: uno scivolamento progressivo perché altri sistemi accelerano sulle riforme economiche molto più di noi. In cinque anni ci hanno superato Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Ungheria, Romania. Nazioni che uscivano da cinquant'anni di piani quinquennali e vivono un boom dopo l'ingresso nell'Unione europea. Slovacchia, Bulgaria, le Repubbliche baltiche, Spagna e Portogallo sono stabilmente molto più competitive di noi. Possiamo consolarci avendo superato Cipro (!) e tenendo a distanza colossi come Grecia, Croazia e Malta. Secondo la Banca mondiale è molto più facile fare impresa in Paesi come Islanda, Malaysia, Perù, Montenegro, Ruanda, Panama.

QUATTRO MESI PER LA CORRENTE

La graduatoria complessiva sintetizza 11 diversi indicatori. A parte un caso, l'Italia perde posizioni nella gara della competitività. Siamo scesi dal posto numero 114 al 116 (su 189) per i tempi di attesa di un permesso edilizio, dal 137º al 141º per la burocrazia necessaria a pagare le tasse, dal 97º al 102º per avere l'allaccio dell'elettricità, dall'86º all'89º nella facilità di ottenere credito, dal 34º al 37º per le pratiche relative al commercio con l'estero. Siamo indietreggiati di due gradini nelle tutele degli investitori di minoranza e nelle lungaggini delle procedure fallimentari. Nulla è cambiato nel ranking che ci colloca al 47º posto al mondo per i tempi del catasto e soprattutto (questo è il dato più vergognoso) per l'intollerabile lunghezza della giustizia nel campo del commercio: l'Italia è al 147º posto al mondo.

In un unico caso abbiamo migliorato la nostra reputazione: nei tempi per avviare un'impresa. Eravamo 61º nel 2014 e siamo balzati al 46º posto. Un salto spiegato con due recenti riforme: aver ridotto il requisito patrimoniale minimo per aprire un'attività e aver semplificato le procedure di registrazione, ora tutte informatizzate. La Banca mondiale registra anche la riforma del mercato del lavoro, ma l'aspetto ritenuto positivo (le modifiche sui contratti a tempo determinato) è controbilanciato dall'aver ridotto la durata minima a 36 mesi. In precedenza Doing Business aveva valutato positivamente altre novità marginali, come l'eliminazione del certificato energetico per gli edifici commerciali senza riscaldamento, la regolamentazione delle spese legali nei contenziosi e alcuni emendamenti al codice fallimentare. Null'altro.

PIÙ FACILE INVESTIRE IN GRECIA

Il confronto con la Germania è impietoso, ma anche la derelitta Grecia ci dà uno «spread» da brividi. L'unica attività nella quale possiamo dare lezioni è il tempo necessario per avviare un'impresa: 5 giorni, contro i 14,5 di Berlino e i 13 di Atene. Poi è il baratro. Le licenze edilizie in Germania si ottengono in media attendendo 96 giorni, in Grecia 124, da noi 233. Una fornitura di energia elettrica è disponibile in 28 giorni in Germania, in 62 in Grecia, in 124 da noi. Le tasse tedesche richiedono 218 ore lavorative per assolvere tutti gli adempimenti, quelle greche 193, quelle italiane 269. Le pratiche burocratiche per l'export assorbono 19 giorni in Italia, 9 in Germania e 15 in Grecia; quelle per l'import rispettivamente 18 giorni, 7 e 14.

La giustizia teutonica impiega 394 giorni a risolvere una causa contrattuale, quella italiana 1185 giorni e quella greca addirittura 1580. Chi viene a investire in questi Paesi ama davvero il rischio.Ma quasi ovunque, nei Paesi europei, le cose funzionano meglio che da noi. Pagare le tasse? In Spagna bastano 167 ore, in Francia 137, in Lussemburgo 55, a San Marino 52, in Svizzera 63, in Irlanda 80. Le controversie commerciali? A Singapore 150 giorni, in Corea 230, in Azerbaigian 277, 300 in Lituania. Con i suoi 1185 giorni, l'Italia si batte tra il Gabon (1070), il Myanmar (1160) e Gibuti (1225). Certo, sempre meglio che in Afghanistan o Guinea-Bissau dove ci vogliono dai cinque ai sei anni.

Le classifiche di Doing Business mostrano una realtà forse scontata, ovvero che l'Eden dell'imprenditore non esiste. Nessun Paese al mondo soddisfa pienamente i requisiti di rapidità ed efficienza, ma in molte parti del mondo manca davvero poco.

IL PARADISO È SINGAPORE

L'approssimazione più vicina al paradiso per chi voglia fare affari è Singapore: lo era nel 2010, si riconferma nel 2015. Fatto 100 il valore ottimale, la città-Stato asiatica – che è il quarto centro finanziario del pianeta dopo Londra, New York e Hong Kong – registra un tasso di avvicinamento dell'88,3 per cento seguita dalla Nuova Zelanda (86,9) e da Hong Kong (85).

Sud-Est asiatico e Oceania: siamo proprio agli antipodi di questo trittico di capitali del business. L'indicatore italiano si ferma al 68,5 per cento, che è pure migliorato rispetto al 68,2 del 2014. Significa che siamo a due terzi del cammino, ma la strada si fa sempre più dura perché, come visto, molti Paesi stanno rapidamente scalando posizioni grazie a riforme strutturali che facilitano le attività d'impresa. Non basta dunque riformare, occorre farlo in profondità e rapidamente perché nel mondo c'è sempre qualcuno che corre più forte di noi.

Tra le prime dieci nazioni si collocano anche Australia e Corea, mentre i Paesi dell'Ue che offrono le migliori condizioni per un investitore si affacciano sui mari più freddi: Danimarca, Norvegia, Regno Unito, Finlandia. È lì che deve indirizzarsi un imprenditore che voglia mettere a frutto nel modo più adeguato le proprie buone idee.

Quanto alle eccellenze, il Paese ideale dovrebbe avere il catasto della Georgia (una sola pratica risolta in 24 ore), il sistema fiscale dei Paesi arabi (appena 3 o 4 scadenze tributarie in tutto l'anno), la burocrazia di Singapore e il suo sistema giudiziario civile, le banche della Nuova Zelanda e i permessi di costruzione di Hong Kong: con cinque procedure si chiude ogni problema.

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