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"SILVIO COME CETTO" CARO ECONOMIST BASTA DARCI LEZIONI

Il settimanale inglese attacca il Cavaliere paragonandolo a Cetto La Qualunque. Una sparata ad effetto. Eppure su altri temi ben più delicati non è altrettanto audace...

"SILVIO COME CETTO" 
CARO ECONOMIST 
BASTA DARCI LEZIONI

Non sopporto il moralismo dell'Economist. Non sopporto la sua tendenza a valutare il mondo con due pesi e due misure. Non sopporto quel tono da giornale di fronda, ma molto chic, che in realtà nasconde un conformismo assai politically correct. Andate a ripercorrere la storia di questo settimanale. Quante sono le denunce davvero coraggiose e fuori dagli schemi? Pochissime, quasi inesistenti. Sì, da apprezzare per le sue analisi economiche e geostrategiche, ma quando giudica la situazione nei singoli Paesi non riesce a reprimere la tentazione di alzare il ditino e di giudicare tutti dall'alto in basso, con snobismo britannico di impronta tipicamente coloniale.

Non ha mai amato Berlusconi, come noto. E continua a non amarlo. Nell'ultimo numero si lancia in un paragone davvero avventuroso. Secondo l'Economist il nostro premier è paragonabile a Cetto La Qualunque, il popolare personaggio interpretato da Antonio Albanese, descritto come "un corrotto e volgarissimo uomo d'affari calabrese". Il pretesto è ovviamente il bunga-bunga, naturalmente, e le abitudini private del Cavaliere, che l'Economist giudica scandalose e inaccettabili.

Dopo aver ripercorso le tappe della vicenda di Ruby, l’Economist conclude sottolineando che «questa situazione porta con sé due gravi rischi». Il primo, si legge, è che «il governo non possa più fare nulla per l’economia del Paese», mentre il secondo è che «Berlusconi chieda elezioni anticipate e cerchi di vincerle per distruggere, durante un secondo mandato, l’indipendenza della magistratura». E dunque? «Povera Italia», naturalmente.

Opinione legittima, sia chiaro; però l'Economist sarebbe più credibile se non continuasse a commettere quello che è un errore frequente dei giornalisti, che si ostinano a valutare i fatti dei Paesi altrui applicando i propri parametri morali, anziché sforzarsi di capire la realtà con gli occhi dei cittadini di quei Paesi. Certo, se Berlusconi fosse stato inglese, si sarebbe dimesso da un pezzo. Anzi, conoscendo le logiche britanniche, non sarebbe mai diventato primo ministro. Ma è italiano e gli italiani lo hanno eletto tre volte e in queste ore la loro valutazione del Ruby-Gate non è certo univoca: c'è chi è scandalizzato e chi invece non lo è. C'è chi solidarizza con la magistratura e chi invece pensa che stia abusando dei propri poteri. Tutto questo dovrebbe spiegare l'Economist, ma non lo fa. Preferisce ripetere i soliti luoghi comuni.

Sarebbe più utile, se l'Economist con spirito autenticamente liberale, per una volta scavasse altre realtà, ben più importanti di quella italiana, eppure avvolte nel silenzio. Forse perché rigorosamente britanniche. Forse perché più consociative e clandestine che liberali. Ecco ci piacerebbe che l'Economist ci spiegasse che cosa sia, ad esempio, il Bilderberg e perché i suoi giornalisti non scrivano mai nemmeno una riga sulle riunioni del gruppo più influente del mondo -che riunisce politici, banchieri, top manager e opinion leader - benché i suoi giornalisti siano sempre invitati - e con tutti gli onori. Ecco, ci piacerebbe sapere questo.

Ma temo che questa legittima richiesta di noi lettori fedeli e altrettanto liberali non verrà mai esaudita. Chissà come mai…

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