Politica

Slogan e insulti per far tacere Pansa

Luca Telese

nostro inviato

a Reggio Emilia

«Pansa prez-zo-la-to con l’infamia ci hai spe-cu-la-to». E poi: «Morti di Reggio Emilia uscite dalla fossa. Fuori a cantar con noi Bandiera Rossa!». Urla, slogan, canzoni, contestazioni, un principio di rissa sedato a fatica dalla polizia: succede di tutto e di più, a Reggio Emilia, per la prima presentazione italiana dell’ultimo libro di Giampaolo Pansa. Nessuno avrebbe immaginato una protesta di simili proporzioni nel capoluogo emiliano, infatti i contestatori sono venuti da fuori con un coup de théâtre che, se non ci fosse stato qualche momento di panico, soprattutto fra le signore della platea, sarebbe apparso addirittura spettacolare. Lui, l’oggetto di tanta rabbia, Giampaolo Pansa, rimane impassibile per tutti i venti minuti in cui i ragazzi di area centri sociali romani hanno urlato i loro slogan. Appena i contestatori escono, riprende in mano la situazione e usa l’arma dell’ironia. «Io sono un signore di 71 anni, ne ho viste tante. Mi scuserete se non mi sono mai mosso dal tavolo ma ho vissuto tanti anni agitati e so ormai per esperienza che in questi casi basta aspettare una ventina di minuti. Poi gli slogan finiscono, le canzoni pure, l’adrenalina cala e noi ora possiamo riprendere il nostro dibattito».
Tutto comincia dopo pochi secondi. Aldo Cazzullo, firma del Corriere della Sera e moderatore della serata, sta iniziando il suo dialogo con l’autore di La grande bugia (Sperling & Kupfer, euro 18) leggendo il primo capitolo del libro che proprio a Reggio Emilia era ambientato. «A pagina 38, trovate il racconto della presentazione dello scorso anno in cui un signore si era alzato dicendo: “Caro Pansa, io sono un cittadino di serie B perché da cinquant’anni sto cercando le spoglie di mio padre”...». Cazzullo non fa in tempo a finire la frase, che un ragazzo con i capelli rasati fende la platea dirigendosi verso il palco, tenendo alta una copia de La grande bugia. Quando arriva davanti agli oratori grida: «Caro Pansa, io invece sono un cittadino di serie A, che ha fatto quattrocento chilometri per venirle a dire che questo libro è un’infamia. Viva la Resistenzaaaaaa!». Tutto era preparato, e infatti dagli angoli della sala accorrono sul palco quindici militanti che ripetono lo slogan «Ora e sempre Resistenza», qualcuno ha portato persino uno striscione. Si mettono tutti in fila davanti a Pansa a pugno chiuso e gridano: «Siete tutti fascisti, vergognatevi, non ce ne andremo finché non ci farete leggere il nostro comunicato».
E iniziano venti minuti di panico. Un signore anziano della platea si infiamma: «Fateci sentire Pansa, stronzi!», qualche ragazzo tra i più giovani (degli spettatori) minaccia di passare alle vie di fatto, un commissario di polizia, con il distintivo in mano, si frappone fra i manifestanti e gli infuriati della platea. Un signore con la barba bianca si accascia su una sedia col fiatone («non posso accettare che dei ragazzotti mi impediscano di sentire»), c’è perfino un principio di rissa fra i tre che difendono lo striscione e due degli spettatori più giovani. Alla fine, quando si accorgono che non riusciranno a leggere il comunicato e che Pansa, ostentando una tranquillità britannica, si è messo addirittura a firmare delle copie a chi è accorso vicino a lui sul palco, i contestatori si rassegnano a uscire dalla sala gridando «Triangolo rosso, nessun rimorso!» e tirando volantini firmati con la sigla che hanno scelto per la loro azione, Antifascismo militant, «senza tregua contro fascisti e revisionisti». Un altro tiratore lancia dei facsimile di banconota da 50 euro, con la scritta «Pansa prezzolato». Il logo che accompagna la scritta attira l’attenzione di Pansa: un casco stilizzato, con una stella a cinque punte sulla fronte: «Noi che abbiamo visto altri tempi, sappiamo che quella stella non è uno dei simboli più felici».
Il leader della pattuglia antagonista si chiama Simone Veradio. Gli chiedi, a bruciapelo: il libro lo avete letto? «Certo». Cosa vorreste criticare, se poteste intervenire al microfono? Sorriso: «A noi non ci interessa intervenire, noi vogliamo solo contestare». E un altro fuori, parlando con i giornalisti mentre la polizia raccoglie i loro documenti: «Contestazione necessaria, il signor Pansa ha avuto sui giornali tutto lo spazio che voleva per le sue tesi revisionistiche. Con la scusa che lui è di sinistra ha scritto che i partigiani erano stupratori, ha raccolto le balle della storiografia fascista cercando di farle passare per verità. Senza citazioni e senza fonti».
Rientri in sala e vedi che Pansa ha ripreso a parlare. Tono pacato, un discorso velato di ironia, amarezza, orgoglio: «Siete un pubblico straordinario, non so se questo intervento vi ha disturbato. C’è qui il capo della saggistica della Mondadori, Ferrari, che mi ha chiesto: ma questi li hai pagati perché ti facessero pubblicità?». Sospiro. «No, non li ho pagati. Purtroppo hanno fatto tutto da soli. Voglio ringraziare voi, uomini e donne liberi che siete qui perché avete tante idee diverse e la passione per dibattere». Un’altra pausa. «Io considero la Resistenza come la mia patria morale e mi dispiace per questi giovanotti che cantavano Bella ciao contro la Resistenza a cui inneggiavano, non sapevano di essere dei nemici della libertà di opinione, di essere la contraddizione vivente dello spirito della democrazia che pretendevano di evocare».

Pansa si ferma ancora, e la sala esplode in un lungo, lunghissimo applauso.
Luca Telese

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