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Spatuzza chiede perdono per la morte di Di Matteo il bimbo sciolto nell'acido

Il mafioso collaboratore di giustizia, deponendo al processo per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe, sciolto nell'acido, si è rivolto ai familiari del bambino e alla Corte d’assise: "Siamo moralmente responsabili". Ma la madre del piccolo: "Nessun perdono"

Spatuzza chiede perdono  
per la morte di Di Matteo 
il bimbo sciolto nell'acido

Palermo - "Chiedo perdono alla famiglia del piccolo Giuseppe Di Matteo e a tutta la società civile che abbiamo violentato e oltraggiato". Così il mafioso collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, deponendo al processo per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, si è rivolto ai familiari del bambino e alla Corte d’assise di Palermo. "Noi siamo moralmente responsabili - ha aggiunto - della fine di quel bellissimo angelo a cui abbiamo stroncato la vita. Anche se non l’abbiamo ucciso io e i miei coimputati siamo colpevoli del sequestro, ma anche della morte del ragazzino e ne daremo conto, non solo in questa vita, ma anche domani dove troveremo qualcuno ad aspettarci".

La mamma di Giuseppe: nessun perdono "Non sono disposta a perdonare nessuno degli assassini di mio figlio, un bambino innocente che è stato sequestrato, torturato, oltraggiato anche dopo la sua morte. Come posso perdonare?". Franca Castellese, la mamma del piccolo Giuseppe, risponde così all’appello lanciato in aula dal pentito. "Mi auguro - aggiunge - che tutti coloro i quali hanno partecipato al sequestro e all’uccisione di mio figlio restino per sempre in carcere, a cominciare da quel mostro di Giovanni Brusca". 

La sentenza della mamma La mamma del piccolo Di Matteo piange, mentre pronuncia la sua "sentenza", che sembra essere senza appello: "Devono marcire tutti in galeria, a cominciare da quel mostro di Giovanni Brusca. Gli auguro di provare lo stesso dolore che ho provato io". Poi aggiunge, lasciando quasi intravedere uno spiraglio per Spatuzza: "Al momento non posso perdonare. Voglio capire. Perché non ha aiutato mio figlio? Cosa gli aveva fatto? Perché non se la sono presa con mio marito? Le colpe dei padri non possono ricadere sui figli". E commentando le parole accorate pronunciate in aula dal pentito, Franca Castellese conclude: "Non so se è davvero sincero, non ero presente al processo. Forse lo fa per ottenere dei benefici: per questo motivo chiedo che gli assassini di mio figlio non escano mai dal carcere, poi se la vedranno con la loro coscienza. Di sicuro io non posso perdonarli". 

Il processo Imputati con l’accusa di sequestro di persona e omicidio, oltre a Spatuzza, il capomafia di Brancaccio Giuseppe Graviano, il boss trapanese latitante Matteo Messina denaro e i mafiosi Francesco Giuliano, Luigi Giacalone e Salvatore Benigno. Il dibattimento si svolge davanti alla corte d’assise presieduta da Alfredo Montalto.

Il rapimento nel 1993 Spatuzza, mai indagato per il rapimento, che avvenne ad Altofonte a novembre del 1993, si è autoaccusato di aver partecipato alle prime fasi del sequestro e ha coinvolto Graviano e gli altri imputati consentendo l’apertura del nuovo processo per la vicenda del piccolo Di Matteo. Altri due dibattimenti sono stati celebrati a carico di capimafia e carcerieri. Giuseppe Di Matteo venne rapito per indurre il padre Santino, pentito, a ritrattare le sue accuse. Dopo circa 3 anni di prigionia venne strangolato e sciolto nell’acido. Un omicidio che, sia per l'efferatezza sia per la giovane età della vittima, sconvolse tutto il Paese.

"Così il bimbo fu portato via" "Nel 1993 Giuseppe Graviano, che era ancora latitante, mi disse che dovevamo rapire il figlio di un pentito e di contattare Cristoforo Cannella per organizzarci". Comincia così, dopo un accenno alla sua appartenenza all’organizzazione "terroristico-mafiosa Cosa nostra", l’esame di Spatuzza, il collaboratore di giustizia racconta le prime fasi del sequestro del, figlio del pentito Santino, rapito il 23 novembre del 1993 e ucciso a gennaio del 1996. Spatuzza dice che Graviano gli fornì le parrucche per travestirsi da poliziotti e che su una "Croma" e una Fiat "Uno" rubate, con le casacche delle forze dell’ ordine, si presentarono al maneggio di Altofonte dove la vittima si trovava. Il sequestro fu seguito da giorni di pedinamento. Il gruppo di fuoco entrò al maneggio e prelevò il bambino fingendo di doverlo portare dal padre. Il piccolo fu fatto salire sulla Croma, accanto a Spatuzza e Salvatore Grigoli, killer di padre Puglisi. Guidava il boss Cristoforo Cannella. Dietro, i mafiosi Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone erano sulla Uno che scortava la Croma. I rapitori arrivarono a Misilmeri dove Di Matteo venne caricato su un Fiorino. Un disguido nella consegna della vittima ai carcerieri costrinse Spatuzza e gli altri ad arrivare a Lascari. A dare indicazioni su luogo preciso in cui lasciare il piccolo, per strada, fu il capomafia Benedetto Capizzi. Arrivati ad un magazzino di Lascari, il bambino fu legato e lasciato nel "Fiorino", parcheggiato nell’immobile. La vittima rimase lì in attesa dei carcerieri. Spatuzza non vide più Giuseppe Di Matteo. Solo anni dopo, nel 1995, il boss Giovanni Brusca gli fece capire che era ancora vivo. "Mi disse che avevamo ancora 'la carta' nelle mani".

Ma a gennaio del 1996 il figlio del pentito fu strangolato e sciolto nell’acido. 

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