Prima della Scala

Opera lirica "travagliata" ricca di grandi melodie

Opera lirica "travagliata" ricca di grandi melodie

La genesi di Tosca, seconda opera nata dalla collaborazione di Puccini con il poeta-librettista Luigi Illica e con il drammaturgo Giuseppe Giacosa, fu complessa. Basta leggere il secondo volume dell'Epistolario pucciniano (1897-1901), pubblicato quest'anno per la cura di Gabriella Biagi Ravenni e Dieter Schickling. Le missive del compositore, liberate dalle censure degli ultimi eredi, offrono la narrazione di quelle difficoltà che Puccini dissimulava con giochi di parole: «Tosca che m'attosca», con riferimento al personaggio del malvagio Barone Scarpia, accostato allo Jago operistico di Verdi e Boito che insuffla la gelosia a Otello («è un'idra fosca, livida, cieca, col suo veleno se stessa attosca»).

La composizione fu contrappuntata dai continui spostamenti richiesti al compositore per assistere alle varie prime importanti di Bohème, che iniziava il suo inarrestabile «giro» nei maggiori teatri nazionali ed europei. A Parigi Puccini conosce Émile Zola, Victorien Sardou (l'autore del dramma da cui è tratta Tosca) e Alphonse Daudet, tutti suoi ammiratori. Scriverà agli amici lucchesi: «Chi l'avrebbe detto, eh? Al guitto organista di Mutigliano», riferendosi a quando era un oscuro organista di una collegiata al di là del Serchio, oggi frazione di Lucca. Viaggi che pesavano come macigni per un uomo che soffriva la malinconia di casa, di quella Torre del Lago che da Parigi descrive, «paese tranquillo, con macchie splendide fino al mare, popolate di daini, cignali, lepri, conigli, fagiani, beccacce, merli, fringuelli e passere. Padule immenso. Tramonti lussuriosi e straordinari. Aria (...) splendida di primavera e di autunno. Vento dominante, d'estate il maestrale, d'inverno il grecale o il libeccio».

L'anelito del cacciatore appassionato «al bosco olezzante con relativi profumi, al libero ondeggiare del ventre in largo calzone con assenza di gilet il vento che libero e olezzante mi giunge dal mare con le nari dilatate il salso jodico spirare», si unisce a quello di sistemarsi in case confortevoli. Nell'estate del 1898, prese in affitto Villa Mansi a Monsagrati (dieci chilometri a Nord-Est di Lucca), località solitaria nella quale lavorava «fino alle 4 di mattina dalle 10 (...). Un luogo noioso dove l'essere umano è l'eccezione». Mentre «il mio cervello si distilla nel silenzio per colorire l'eroina Romana», i proventi di Bohème davano l'esca alla mai placata brama di mattone, iniziandosi i lavori di ristrutturazione della Villa di Torre del Lago e di quella di Chiatri, sopra il lago di Massacciuccoli, che diverrà residenza saltuaria.

La passione per costruire sarà un contrappunto costante sia che il compositore si trovasse sui cantieri, sia che passasse parte dell'inverno nell'appartamento di via Verdi a Milano. La metropoli lombarda diventava spesso luogo di segregazione per il compositore che ardeva «dal desio della macchia», dalla voglia di partecipare a una partita di caccia, alle cene con gli amici pittori Fanelli e Nomellini, alle gite sulla fiammante automobile De Dion-Bouton, alle scorrazzate in motoscafo sul lago e agli incontri amorosi. Milano diventava «misera», una «città schifosa, sudicia, merdosa, putrida, caliginosa, infame, scureggialla, bifolca, bianca di grappa (almeno fosse di quella fina) con quel Duomo che pare un panforte di Siena ammuffito in cantina... con quei risotti che paiono cacca gialla di bimbi, con quelle cotolette che paiono guance di parroci rifiorite dai ponci (...) quel parlare poi! Pare un rutto dopo una sbornia da giovedì grasso».

Tutti quei luoghi ispirarono un capolavoro per decenni additato dai detrattori di Puccini come saturo di «effettacci» truculenti e plateali. Oggi nessuno confuterebbe il giudizio dello scrittore-poeta-critico musicale Giorgio Vigolo, scritto nel 1956, anni in cui Puccini era fra le bestie nere della critica ideologica: «La partitura è stringata e rapida, di una perfetta funzionalità drammatica. Musica e scena procedono sempre di stretto accordo, senza un indugio o una divagazione. Ciò che più conta è che Puccini sa tirare su dalla sua anima temi melodici di grande potere evocativo.

Con pochi tratti crea atmosfere».

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