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Un atlante (razionale) vi spiega le vostre 156 folli emozioni

Ambiguofobia o basoressia? Un libro sulle sfaccettature dell'anima. Incluse quelle che forse non sapevate di avere

Un atlante (razionale) vi spiega le vostre 156 folli emozioni

Che meraviglia, le emozioni! Il loro elogio è appannaggio soprattutto delle donne, perché ci vedono un'espressione della natura, dell'anima, del cuore, e tutto quanto è naturale viene percepito come cosa buona e giusta, ma è davvero così? L'innamoramento è un'emozione, ma quando passa è un disastro, siccome a uno passa e all'altro magari no. La scusa più spietata di chi lascia qualcuno: non ti amo più, non sento più niente per te. Quasi non fosse colpa nostra. E in realtà non lo è, ma allora? Quale valore avrà l'amore, se non dipende da noi?

Un tempo le emozioni si chiamano «passioni», «accidenti dell'anima», «sentimenti morali», ma è solo dal 1830 che prendono il nome attuale, per merito del filosofo inglese Thomas Brown. Ma il primo a sviscerarle nella loro natura biologica fu il grande Charles Darwin, di cui il saggio del 1872 L'espressione delle emozioni dell'uomo e negli animali. Non ci sentiamo responsabili delle nostre emozioni in quanto gli attribuiamo una natura animale, non umana, non cioè legata alla ragione. Quest'ultima infatti, è una continua rimozione delle emozioni, ossia di quella parte del cervello che le provoca: l'amigdala, nascosta nella profondità dei lobi temporali. Provare rabbia è umano, saltare addosso a qualcuno per azzannarlo come farebbe uno scimpanzé meno. Eppure è istinto, quanto ci lega a tutti gli esseri viventi, che quando ci fa comodo lo elogiamo, altre volte lo condanniamo.

Quante emozioni ci sono? Più di quanto crediamo. Basta dare un'occhiata all'Atlante delle emozioni umane (pagg. 374, euro 20) di Tiffany Watt Smith, pubblicato dalla Utet, ce ne sono catalogate ben 156. Dalle più comuni, come l'ansia, l'allegria, la rabbia, l'apatia, la curiosità, il coraggio, l'eccitazione, la delusione, a altre di cui non avete mai sentito parlare ma abbiamo tutti provato. Per esempio ci sono la noia, la paranoia, ma anche la pronoia, «quella strana inquietante sensazione che provate quando vi sembra che tutti vogliano farvi del bene». Io la provo ogni giorno, da mia mamma alla mia fidanzata che si preoccupano se bevo, se fumo, o di come mangio male, ora posso dirgli che così mi uccidono di pronoia, dannazione.

L'ambiguofobia è invece un'invenzione di David Foster Wallace e descrive il disagio che si prova nel concedere spazio alle interpretazioni altrui, e io, da scrittore, questa la provo sempre ogni volta che qualcuno cerca di spiegarmi un mio romanzo o un mio articolo, come se non lo sapessi di mio. Non parliamo poi della basoressia, l'impulso improvviso a baciare qualcuno, a chi non è successo? Eppure è così naturale! Se noi umani ci comportassimo come gli altri animali ci processerebbero per molestie (e consideriamo che gli animali, come i cani, per conoscersi si annusano tranquillamente i genitali, se lo facesse un uomo sarebbe affetto da genitoressia, e non che non ce ne venga la tentazione quando vediamo una bella ragazza).

Cercare su internet compulsivamente qualsiasi cosa è sintomo di un'emozione chiamata cybercondria, come essere troppo dipendenti da computer e smartphone porta a sentire il tecnostress (e chi oggi non è un tecnostressato? Nel mio caso, al contrario, sono tecnostressato quando non ho un wifi a cui attaccarmi). Mentre in treno, o in luogo affollato, proviamo l'ansia da squillo, quando trilla il cellulare e cominciamo a frugarci senza sapere se è il nostro. Quasi tutte le donne, invece, sono colte da Broodiness («istinto alla cova») ogni volta che vedono un bambino piccolo, soprattutto se non sono madri (se lo sono succede meno, considerano il proprio figlio l'unico bambino del mondo).

Ma ci sono anche emozioni segrete, non dichiarabili, come la Schadenfreude, quel brivido di gioia inattesa che proviamo quando veniamo a sapere della sciagura che ha colpito qualcun altro. Quando siamo a corto di tempo siamo invece colti da Torschlusspanik, la cui traduzione letterale dal tedesco è «panico del portone che si sta chiudendo». Aspettare qualcuno guardando freneticamente dalla finestra è un'ansia chiamata dagli inuit Iktsuarpok, da noi assimilabile all'ansia di ricevere la risposta di un messaggio su Whatsapp o controllare le reazioni di un nostro status su Facebook.

L'eccitazione, invece, nasce da scariche di epinefrina, di noradrenalina, e di dopamina, e chi è responsabile delle proprie eccitazioni? A me successe di avere un'erezione (l'erezione, stranamente, manca nel dizionario della Utet) quando, in un noioso convegno letterario, comparve una bellissima Gilda Policastro, sexy critichessa del Manifesto, ma quando glielo dichiarai lei si offese. Ma come, non sono importanti le emozioni? Non era un naturale, meraviglioso omaggio alla bellezza? Non è una dichiarazione emotiva più sincera di un mazzo di rose rosse?

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