Cultura e Spettacoli

Poca ironia, tanti pianti: al Festival di Fazio è tempo di malinconia

Nei brani dominano preoccupazione e sogni infranti. Solo Gualazzi (e Rubino) provano ad andare controcorrente E Cristiano De André allude a suo padre...

Luciana Littizzetto e Fabio Fazio sul palco del teatro Ariston
Luciana Littizzetto e Fabio Fazio sul palco del teatro Ariston

Intanto la scena iniziale. Pomeriggio. Interno Rai. Ascolto impoltronato (ossia seduti sulle poltroncine di una sala) dei brani in gara al Festival di Sanremo che è sempre Sanremo. Fabio Fazio, sempre pedinato dalla sua cura dimagrante, sottolinea la loro «contemporaneità», Mauro Pagani, che con la sua squadra ha deciso chi dentro e chi fuori, spiega da musicista che le canzoni hanno «un mood sentimentale». Ed è vero, anche perché vuol dire tutto e niente. Di certo tra i ventotto brani in gara (due per ciascuno dei quattordici concorrenti) vincono lo struggimento disperato, d'amore o di solitudine, e il disperato desiderio di rimaner felici nonostante tutto. Quasi quasi erano belli i tempi in cui cuore faceva rima con amore: ora fa rima con esattore. Insomma, un Festival per forza figlio della crisi come la vivono spesso gli italiani: piangendoci su. Zero ironia. L'anno scorso ci avevano pensato Elio, Gazzé, Silvestri e in parte Cristicchi.

Stavolta per carità.

Certo c'è Gualazzi (arriverà con Bloody Beetroots, occhio al deejay mascherato) che è sempre un fuoriclasse fuori dal coro e stavolta, specialmente nella incalzante e quasi ballabile Liberi o no che ha un testo sciolto e divertito. E le inconsuete scelte linguiste di Renzo Rubino (ad esempio il «C'è una macchia microscopica nel tuo bulbo oculare» di Per sempre e poi basta) portano calembour e rimandi giocosi. Altrimenti c'è l'imponenza delle sensazioni, spesso gravi o talvolta troppo qualunquiste (il testo de L'Italia vista dal bar dei Perturbazione è una compilation di luoghi comuni). Antonella Ruggiero canta a modo suo in Quando balliamo e in Da lontano il ritornello le consente di allargare la voce come solo lei sa fare. Idem Francesco Renga che in Vivendo adesso (scritto da Elisa) è la forza della natura che tutti conoscono, fatto apposta per gli applausi del televoto. E se Giuliano Palma fa il giulianopalma come sempre molto retrò e seduttivo (tra gli autori di Così lontano c'è Nina Zilli), Francesco Sarcina delle Vibrazioni si candida a mattatore, almeno sul palco, grazie a In questa città e Nel tuo sorriso, che finalmente fa ascoltare un assolo di chitarra. Per il resto, c'è molta tradizione, intesa in senso positivo. Ad esempio Ron ha due brani di grande livello, specialmente Sing in the rain, capace di mescolare un indubbio talento con testo incisivo (belle le immagini del «trapezista» e del «protagonista del mio circo») e un ritmo che fa schioccare le dita.

Ora il reparto lady. Arisa cresce ancora come interprete e Controvento, il brano scritto dal poetico Giuseppe Anastasi, sembra avere una marcia in più rispetto a Lentamente (il primo che passa) di Cristina Donà con un appeal molto beat e un testo di rara tristezza: «Quell'orologio fermo che hai lasciato sopra al letto, il primo che passa si porterà via il tuo ultimo abbraccio». Giusy Ferreri resta un'incognita (impossibile ascoltare i brani causa delicati problemi personali), mentre Noemi è difficile da valutare al primo ascolto: colorata l'interpretazione ma essenziali, forse troppo i testi (in Bagnati dal sole ci soltanto tre frasi e Un uomo è un albero non è di immediata comprensione). Ad allungare i testi ha pensato Frankie Hi Nrg, che sarà una delle sorprese perché il testo di Pedala è forse la miglior fotografia di cosa ci servirebbe oggi (caparbietà e impegno, niente lamentele) e Un uomo è vivo ha un evidente appeal jovanottesco. Ovvio, difficile avere l'impatto emotivo del bravo Riccardo Sinigallia, più in Una rigenerazione che nella troppo tiromancinesca Prima di andare via, e di Cristiano De André che ha una bella tensione negli arrangiamenti di Il cielo è vuoto ma nella intensissima Invisibili dialoga con un amico parlando (anche) del padre: «Tu camminavi nell'inquietudine e la mia incudine era un cognome».

Per farla breve (e per mancanza di altri rapper) all'Ariston sarà il trionfo della melodia di alto livello, altissimo, forse troppo per restare compresso nei confini spensierati del pop.

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