Cultura e Spettacoli

Per capire le cose al volo non basta essere uccelli

Passerotti, ghiandaie & Co hanno buona memoria e sanno apprendere, ma solo l'uomo è "geniale"...

Per capire le cose al volo non basta essere uccelli

Quando dobbiamo dare a qualcuno dello stupido diciamo che ha un cervello di gallina. Ma sono così stupide le galline? E gli uccelli in generale? Discendenti, tra l'altro, dai dinosauri, che ci affascinano tanto nei vari Jurassic Park (a proposito, è appena uscito il nuovo Jurassic World. Il regno distrutto), ma anche lì i dinosauri ce li ricordiamo solo per dire che si sono estinti. Estinti sì, ma hanno dominato questo pianeta per centosessanta milioni di anni, quando noi Homo Sapiens ci siamo appena da duecentomila anni, un'inezia. Comunque è un dato di fatto: i superstiti dei dinosauri sono diventati uccelli. Da T-Rex a canarino, chi l'avrebbe mai detto.

In ogni caso gli uccelli sono tutt'altro che stupidi, sebbene siano da noi lontanissimi. Come è noto, la specie a noi più vicina è lo scimpanzé, con cui avevamo un antenato in comune appena cinque milioni di anni fa. Gli uccelli sono molto più distanti, l'antenato in comune tra noi e un passerotto è vissuto più di trecento milioni di anni fa. Eppure sono molto intelligenti, altro che cervelli di gallina (sarà per questo che Vittorio Sgarbi urla sempre: «Capra! Capra! Capra!» e non «Gallina! Gallina! Gallina!»). In proporzione al loro corpo, hanno una densità di neuroni pari a quella dei primati.

Come racconta per seicento pagine Jennifer Ackerman nel suo bel saggio Il genio degli uccelli (La nave di Teseo) che si legge come un romanzo, tanto è avvincente e ricco di aneddoti pazzeschi, gli uccelli sono dei fenomeni. Ci sono uccelli che si applicano per sedurre le femmine meglio degli umani, per esempio realizzando disegni colorati con bacche, pezzetti di vetro e fiori. Ci sono specie di uccelli che risolvono rompicapi meglio di bambini di cinque anni. Le ghiandaie riescono a ricordare che genere di cibo hanno sotterrato e dove. Le gazze riconoscono la propria immagine allo specchio, cosa che un tempo si credeva limitata a animali superiori come gli esseri umani, le altre grandi scimmie antropomorfe, i delfini e gli elefanti.

Uno dei casi più famosi è il pappagallo cenerino Alex, che era arrivato a padroneggiare centinaia di termini inglesi, e sapeva distinguere, contare e nominare un numero svariato di oggetti disposti in un vassoio. Morì all'età di soli trentuno anni (metà dell'aspettativa di vita della sua specie) e le sue ultime parole, rivolte alla ricercatrice Irene Pepperberg, furono: «Fai la brava. Ci vediamo domani. Ti voglio bene». Commovente. E però, che senso avranno quelle parole? Insomma, la Ackerman ha scritto un libro affascinante che vi invito a leggere, ma essendo una giornalista e non una scienziata esagera nell'entusiasmo, finendo quasi con il ritenere l'intelligenza degli uccelli superiore a quella umana. Sostenendo, per esempio, che un essere umano non sarebbe capace, come molti uccelli, di nascondere decine di migliaia di semi in un'area di centinaia di chilometri e ricordarseli anche dopo sei mesi.

Tuttavia quando parliamo di cervello, intelligenza, pensiero o addirittura emozioni (la Ackerman attribuisce al pappagallino Alex dei sentimenti simili all'amore) degli altri animali bisogna andarci cauti. Almeno scientificamente. Dire che una ghiandaia è dotata di memoria episodica e sa tornare con la mente al passato per sostenere che simili uccelli compiono «un viaggio mentale nel tempo che è sempre stato considerato un vanto della mente umana» non fa di una ghiandaia Marcel Proust. E nessun altro animale, a parte l'uomo, ha messo piede sulla Luna, ha mandato sonde su Marte, o ha inventato internet o un iPhone. Un leone può sbranarci, ma a noi basta un fucile per vincere.

È per questo che, a fronte dell'entusiasmo da groupie della Ackerman, che reputa gli uccelli dei veri e propri Einstein, ho deciso di romperle un po' le uova nel paniere e ho interpellato il neuroscienziato Giorgio Vallortigara, il quale studia gli uccelli da decenni e è autore di numerosi libri, tra cui anche uno intitolato proprio Cervello di gallina (Bollati Boringhieri). Giorgio, meno incline alle esagerazioni (e anche ai fraintendimenti tra specie diverse, si legga anche il suo Piccoli equivoci tra noi animali, edito da Zanichelli), smorza l'entusiasmo della Ackerman, o meglio specifica: «Gli uccelli sono più intelligenti degli esseri umani? Dipende. L'intelligenza ha manifestazioni diverse. Se nascondi delle provviste nel bosco in cento nascondigli diversi, una nocciolaia di Clark saprà ritrovarle quasi tutte anche dopo due mesi. Io o te riusciremmo a stento a ricordare la posizione di otto o nove nascondigli. Però c'è una cosa che possiamo fare: disegnare una mappa del bosco e segnarci la posizione dei cento (mille, diecimila...) nascondigli. E, a questo punto, anche dopo un anno (cinque anni, dieci anni...) la nocciolaia la stracciamo. Dirai che non è leale, che non stiamo combattendo ad armi pari. Verissimo. Però il punto è che noi la mappa la sappiamo costruire, la nocciolaia invece no.

E questa in fondo è tutta la differenza».

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