
Guardala qui la sorpresa. Prima la musica. Poi le parole. Invece di presentare il disco con una lenzuolata di dichiarazioni, ieri Carmen Consoli ha fatto come tanti anni fa: lo ha suonato quasi per intero. E poi dopo ne ha parlato.
Dopotutto sono trascorsi cinque anni da Elettra e lei nel frattempo si è presa una vacanza dal palco. Ha fatto «cose comuni e straordinarie» come diventare mamma di un figlio «masculo quindi meraviglioso» e ha osservato il mondo dal di fuori «senza sentire la mancanza dello showbiz e neppure dello show e basta». Poi è tornata a comporre canzoni. E ieri, su di un piccolo palco degli studi Circus di Milano, è arrivata in silenzio, ha sfoderato la sua chitarra acustica e ha cantato quasi per intero il disco L'abitudine di tornare portando tutti fuori dal tempo.
«È il frutto di esperienze filtrate e di compassione, nel senso di con passione, con la gente comune come il pescivendolo Orazio oppure a spasso per le strade di Catania. «Mi piace pensare di essere diventata una cronista un po' verista: non voglio dare il mio giudizio sulle singole vicende ma i versi, e talvolta la mia musica, parlano chiaro». In effetti, brani come Ottobre , che ha sullo sfondo «una storia omosessuale ambientata negli anni Cinquanta» oppure La signora del quinto piano , che parla di un femminicidio ampiamente annunciato» sono racconti reali filtrati da questa cantautrice che finalmente è tornata ad esserlo. Niente più deviazioni di ultra nicchia o brame da airplay radiofonico. La vera Carmen Consoli, piaccia o no, è quanto si ascolta ne L'abitudine di tornare : una scrittrice più neorealista che realista, quasi maniacale nella ricerca e nello studio delle parole, sganciata dalle insicurezze dei primi anni o dalla ingenua megalomania degli ultimi. Dopotutto il disco è chiaramente imperniato sulle parole, al punto che regge benissimo (e forse meglio) anche nella sua semplice, evocativa versione chitarra e voce.
In questo senso, Carmen Consoli (che dal 9 aprile è in tour, il 13 sarà al Forum di Milano) è la più moderna delle cantautrici proprio perché è legata a una formula alla quale molti non sono più abituati: la ricerca delle storie all'apparenza minime, di quel «particulare» che diventa paradigma di una realtà comune, talvolta quasi globale.
«Nel mio disco non ci sono vincitori e vinti, ci sono percorsi che spero portino alla vittoria», ha riassunto a modo suo, con quella lingua particolare alla quale lei riesce a dare un accento catanese ma un significato universale.