Cultura e Spettacoli

"Che colpa abbiamo noi se siamo rock anche a settant'anni"

Gli storici leader dei Rokes e dell'Equipe 84, da sempre rivali, fanno un cd e una tournée

"Che colpa abbiamo noi se siamo rock anche a settant'anni"

Erano acerrimi rivali, quasi nemici. Erano i tempi gloriosi del primo beat, e loro erano delle superstar: Shel Shapiro alla guida dei Rokes e Maurizio Vandelli leader dell'Equipe 84. Grazie al loro stile e al loro look, erano le stelle del Piper e una sera, dopo uno show, Vandelli entrò nel camerino dei Rokes e chiese: «Perché a fine concerto non facciamo un pezzo insieme?». Al che Shel ribattè: «Nessuno può dirmi quello che devo o non devo fare». Vandelli rispose con un sonoro «vaffa» sbattendo la porta.

Ancora oggi Shapiro e Vandelli non sono proprio amici; si beccano continuamente con sarcasmo e ironia... Però si stimano e si rispettano e hanno deciso di fare un disco e una tournée insieme che saranno fra gli eventi della stagione musicale italiana. L'album (e il successivo tour che partirà il 10 dicembre da Firenze) in uscita oggi si intitola Love and Peace e ricorda - naturalmente - gli anni Sessanta. Ci sono tutti i loro classici, da Che colpa abbiamo noi a Bang Bang, da 29 settembre a È la pioggia che va, tutte rilette (e cantate a due voci) con spirito moderno senza perdere l'appeal originale. «Se uno di noi dice bianco l'altro dice nero - dicono i due ridacchiando - e abbiamo anche una visione diversa della musica. Per questo insieme funzioniamo così bene». Il loro è un viaggio comune su strade parallele anche se all'inizio Shel pensava «uno spettacolo con Vandelli? Mai». Poi la passione ha avuto la meglio ed è nato il disco. «Love and Peace è il titolo ideale - dice Shel - rimanda a San Francisco, a un sogno importante per tutti noi che abbiamo bisogno di riabbracciare il mondo». Se ci pensano bene, qualcosa in comune lo trovano pure: «Eseguire queste canzoni insieme è stato eccitante e divertentissimo; abbiamo un compito e il nostro dovere, anche a questa età, è quello di emozionare il prossimo». E le canzoni rivivono gagliarde come un tempo grazie al mestiere di questi due signori che non hanno nessuna intenzione (per fortuna) di appendere le chitarre al chiodo. Ascoltare Tutta mia la città (versione italiana di Blackberry Way) o l'inno generazionale Che colpa abbiamo noi (ripresa di Cheryl's Goin' Home), When You Walk In the Room nella versione originale dei Searchers (in italiano quella dei Rokes si intitolava C'è una strana espressione nei tuoi occhi) riporta una girandola di emozioni e di ricordi. «Non nostalgia ma memoria», ricordano i due marpioni, che chiudono il disco con You Raise Me Up, l'unico brano non loro, una sorta di spiritual per ringraziare il pubblico.

La domanda sorge spontanea: e un disco di inediti? «Abbiamo già scritto quattro o cinque brani, ma prima dovevamo ritrovare noi stessi, e non sarebbe stato giusto confrontare pezzi che hanno fatto la storia con brani inediti». Quindi l'avventura continua? «Non vediamo l'ora di fare i concerti, ci sarà una band bella tosta e sarà uno show musicale, non uno spettacolo teatrale, anche se racconteremo qualcosa di noi tra un brano e l'altro. Naturalmente ci sarà un pubblico dai cinquant'anni in su, ma non è detto. Ai miei spettacoli c'è un 15-20 per cento di ragazzi giovani che si divertono molto», sottolinea Shel.

Naturalmente personaggi come loro sono una miniera di ricordi; a casa di Vandelli ai tempi d'oro si poteva trovare come ospite Jimi Hendrix. Fu lo stesso Vandelli a portare da Londra la lacca di A Wither Shade of Pale dei Procol Harum che poi divenne Senza luce dei Dik Dik. E Shel agli esordi con i Rokes suonava dopo i Beatles al «Top ten» di Amburgo per due sterline a sera. Il discorso cade su Lucio Battisti. «Ho passato un sacco di tempo con Lucio - ricorda Vandelli - era una delle persone più simpatiche e divertenti in circolazione e amava i giochi di parole. Lo portai da Mariano Rapetti, il papà di Mogol, che gli fece firmare il contratto, ma lui non voleva cantare, voleva solo scrivere. Al suo primo Cantagiro, quando portava Balla Linda (che noi chiamavamo testicolo pulito) mi si attaccò al braccio ed era veramente nel panico. Dopo il successo, mentre scendeva dal palco, disse: A Maurì nun me ferma più nessuno. Era proverbiale la sua tirchieria, non voleva mai pagare niente, e non mi ha mai ringraziato perché lanciai 29 settembre.

Però un complimento alla sua maniera me lo fece quando disse: ho imparato a cantare da te, però ho corretto i tuoi errori».

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