Cultura e Spettacoli

Coldplay, pioggia di colori A San Siro il rock "positivo"

La band di Chris Martin fa il bis stasera in uno stadio tutto esaurito: "Il nostro successo è stata una scalata"

Coldplay, pioggia di colori A San Siro il rock "positivo"

Dopotutto i Coldplay hanno rilanciato l'idea giusta: il pop felice. Si capisce subito entrando a San Siro, primo concerto italiano del tour di A head full of dreams (stasera la replica) e facendosi avvolgere da un'ondata di colori che sprizzano dal palco persino quando le luci sono ancora spente. Poi, quando arriva Chris Martin e davvero lo stadio si infiamma, il concerto diventa realmente un'euforia di positività come oggi se ne vedono (o ascoltano) poche. Dopo che la voce di Maria Callas (in O mio babbino caro) ha dato il benvenuto alla band sul palco, I Coldplay hanno messo in scena il concerto giusto al momento giusto, perfettamente calibrato tra la tendenza rock dalla quale sono partiti e quella pop, cui sono approdati tra lo smarrimento dei primi fan ma il consenso planetario di chi li aveva considerati solo succedanei degli U2.

In poche parole un concerto pieno di sogni (full of dreams, appunto) nel quale Chris Martin sguazza a meraviglia, lui mai troppo gigione ma perfettamente a proprio agio di fronte a un pubblico compattissimo per entusiasmo ma eterogeneo per età. Merito della gavetta: «Il nostro successo è stato come scalare una montagna» ha detto lui ieri a Radio 105. In fondo i Coldplay intercettano il pubblico «pregiato» compreso tra gli adolescenti e i cinquantenni, quelli realmente attivi anche nel creare opinione.

Ed è anche per loro che in questo tour è stata lanciata la formula «on demand», ossia la possibilità del pubblico di richiedere, attraverso Instagram, un brano non compreso in scaletta. È un modo assai social di anestetizzare anche la paura del terrorismo crudele e idiota che ormai aleggia intorno a ogni evento pubblico. Controlli minuziosi. Divieti. Metal detector. Spiegamento di forze dell'ordine, telecamere, barriere. Perciò, attraverso Yellow o God put a smile upon your face oppure Something just like this (che in questi mesi è mitragliato dalle radio di tutto il mondo) questi quarantenni londinesi sono diventati i vicini della porta accanto di tutto uno stadio riuscendo ad affiancare qualche divagazione improvvisata a una scaletta calibrata con il bilancino. C'è un piccolo palco un po' più avanti rispetto a quello grandissimo e lì i quattro suonano Always in my head con William Champion che canta (bene) oltre a suonare la batteria. Intanto Chris Martin fa il maestro di cerimonie, con uno stile finalmente maturo perché meno istrionico, meno bisognoso di applausi e più autorevole, talvolta persino confidenziale come in Everglow. È, in sostanza, uno dei volti più cliccati della musica leggera, prima grazie al matrimonio con Gwyneth Paltrow (dalla quale si è separato nel 2014) e poi con una dose strategica di apparizioni nelle occasioni che contano come il recentissimo concertone di Manchester dopo la strage sotto il palco di Ariana Grande. Lì, tutt'altro che rockstar, ha suonato la chitarra mentre Liam Gallagher cantava la Live forever dei suoi Oasis, gruppo che peraltro ha sempre sbeffeggiato i Coldplay. Un gesto che non è passato inosservato, la dimostrazione di saper mettere da parte le faide musicali di fronte a tragedie così immani. E a far la differenza è proprio la voglia di andare oltre e di Don't panic (non farsi prendere dal panico) come recita il titolo di uno dei brani meglio eseguiti ieri sera. Intensità forte. Parole giuste.

E più dell'intervista a Muhammad Alì del 1977 (proiettata sui megaschermi: «Abbiamo bisogno di qualcuno nel mondo che ci aiuti a far pace») è la coralità di questo concerto kolossal a rendere il messaggio giusto: con la dovuta sicurezza, ci si può ancora avvicinare alla musica in mezzo a decine di migliaia di spettatori. Sono loro che cantano in coro Viva la vida (dopo una convincente Fix you) e poi si sciolgono in un ooohhh quando salgono le fiammate di Hymn for the weekend.

Un concerto didascalico eppure intenso, lontano dal furore (presunto) visionario di altre superband del passato ma millimetricamente calato nel nostro tempo.

E difatti il pubblico ha seguito tutte le canzoni a metà tra le isterie post adolescenziali e gli applausi consapevoli di chi, in quelle due ore a cielo aperto, ha trovato una parentesi di divertimento in mezzo ai colori.

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