Cultura e Spettacoli

Per Nanni Moretti il flop del cinema è colpa del pubblico

Per Nanni Moretti il flop del cinema è colpa del pubblico

Dopo anni di dibattito, è stato infine trovato il responsabile della crisi del cinema italiano d'Autore (maiuscola d'obbligo). È il pubblico. Pigro intellettualmente, incapace di comprendere i tormenti esistenziali dei registi, insofferente di fronte alle performance degli attori, amante dei multisala ove si proiettano i milionari kolossal di Hollywood. La sorprendente rivelazione arriva per bocca di Nanni Moretti al festival MoliseCinema. Dopo la proiezione del suo Mia madre (incasso di circa tre milioni e mezzo di euro, sotto le aspettative ma non disprezzabile), il regista ha dichiarato: «Alle volte il pubblico sa che escono certi film e decide di non andare a vederli. Non sempre il pubblico è innocente. Io vedo che c'è sempre una scusa per non andare a vedere un film italiano: quell'attrice mi è antipatica, non voglio soffrire al cinema, quel film è triste, il manifesto non mi piace». Il girotondo intorno al pubblico non sarebbe completo senza un accenno ai giovani: «E poi c'è il problema enorme del ricambio generazionale. Non c'è nel pubblico un ricambio: i ragazzi vanno a vedere un altro tipo di film, in un altro tipo di sala cinematografica». Gli spettatori non hanno più alibi. Inutile accampare scuse tipo: il peggiore dei registi americani è tecnicamente superiore a quasi tutti i nostri Autori, che si autodefiniscono tali dopo il primo cortometraggio; i nostri attori sono intrappolati a vita nello stesso ruolo (la donna nevrotica, la ragazza problematica, il borghese piccolo piccolo, l'ex ribelle che ha messo la testa a posto, l'ex ribelle che non ha messo la testa a posto); il cast artistico passa identico da una pellicola all'altra: vogliamo contare quanti film hanno interpretato Toni Servillo, Elio Germano, Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher e Margherita Buy?; le sceneggiature sono incomprensibili a Chiasso e prodotte con lo stampino (ministeriale) per accedere ai finanziamenti pubblici. Direte: che generalizzazione, che semplificazione. I soliti giornalisti. È ovvio che ci sono numerose eccezioni ( La grande bellezza di Paolo Sorrentino ha vinto l'Oscar, fatto grandi incassi e ottimi ascolti in tv) ma non sarà un caso se i comici si scatenano sugli stereotipi del cinema italiano. Se volete farvi un'idea di quali siano, andate a leggere, sul blog di Amlo, il post I 10 nuovi film italiani da non perdere . Un esempio: « Mi chiamo Ahmed e vendo kebab . Narra la storia di un venditore di kebab albino ar Pigneto interpretato da Isabella Ferrari che per tutto il tempo del film guarda in camera e piange sul kebab mentre una voce fuori campo urla: aho' e quanno moo dai sto cazzo de kebab? Annamo che cioo a maghina ndoppia filaaaa! Il film finisce con lei che per fortuna non si spoglia. Prodotto da Elio Germano». Ah, ma questi sono i comici, quasi peggio dei giornalisti, obietterete voi. Anche studiosi come Giacomo Manzoli o Andrea Minuz hanno sottolineato più volte la mancanza di originalità delle «sceneggiature di Stato», oscillanti tra lezioni scolastiche (Leopardi e gli altri mille scrittori finiti in sala) e lezioni morali (sulla contemporaneità degenerata, sul capitalismo corrotto, sulla criminalità al Sud). Anche qui, da leggere l'esilarante Mibac for dummies , sul blog Il vedovo .

Ma ora la discussione è chiusa, tutto è stato chiarito. Moretti ha parlato. Lo spettatore preferisce sorbirsi il ventesimo sequel di Terminator con un muscolare Schwarzenegger (fresco come una rosa sbocciata 68 anni fa) perché teme di incappare nell'ennesima predica o nell'ennesima pellicola intimistico-ombelicale di qualche Maestro italiano? Ha torto marcio il pubblico.

È colpevole di aggravare le condizioni del malato ormai cronico, il cinema d'Autore.

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