Cultura e Spettacoli

Fabri Fibra escluso dal Primo Maggio: al Concertone c'è posto solo per il buonismo

I sindacati impongono l'esclusione del rapper Fabri Fibra a causa dei testi misogini. Lui: "È arte". E i compagni si spaccano in due

Fabri Fibra escluso dal Primo Maggio: al Concertone c'è posto solo per il buonismo

Roba da non crederci. Invece rassegnatevi, è vero: i sindacati hanno espulso Fabri Fibra dal Concertone del Primo Maggio. Motivo: alcuni (vecchi) testi del rapper sarebbero sessisti e misogini. Una decisione ridicola pretesa dall'associazione D.i.r.e (Donne in rete contro la violenza) e puntualmente eseguita dalla Cgil che promuove l'evento con Cisl e Uil. Insomma, cartellino rosso dal sindacato più rosso che c'è che naturalmente non vuole «nulla togliere alla libertà di espressione». Ma dai: queste sì sono le comiche finali. Persino Elio e le Storie Tese si sentiranno surclassati da tanta vena surreale. Poveracci, nel nuovo singolo Il complesso del Primo Maggio credevano di aver mandato in frantumi i tic e le ossessioni del concerto più allineato che c'è, e ora fanno la figura dei buonisti. D'altronde, di fronte alla censura di un artista, il loro testo con la musica balcanica che «ci ha rotto i coglioni» o «il complesso che valorizza il territorio impara quattro accordi ci costruisce un repertorio» è un brodino caldo. In fondo quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare: e raramente si sono viste organizzazioni più dure dei sindacati italiani.

Insomma il «prego si accomodi» al più famoso rapper italiano è uno schiaffo non solo alla libertà di pensiero, che in vent'anni è stata sventolata con (smentibilissimo) orgoglio dal Concertone della Triplice, ma anche al pubblico che sarà in piazza a Roma e che nei testi di Fibra, per quanto diretti, non trova certo una misoginia da espulsione. Lui, molto misurato, ha twittato che «il primo maggio è ancora soggetto a certi schemi che in altri circuiti live non ci sono più». Persino l'organizzatore storico del concerto, Marco Godano, uno senz'altro non berlusconiano, è rimasto senza parole: «Sono profondamente amareggiato, non condivido la scelta dei miei editori». E di certo in privato sarà stato meno diplomatico. Non lo è stato Jovanotti che in un tweet ha scritto testuale: «Mi sembra assurda questa censura da parte del minculpop dei sindacati. Fibra è un acceleratore di immagini, la sua è arte». E l'affiancamento del minculpop ai sindacati non è casuale. Vincenzo Mollica ha scritto: «Chi non vuole far cantare Fibra vive fuori dal mondo». Ironico Luca Bizzarri: «Ecco il problema, per le donne dei sindacati italiani, è Fabri Fibra». E il dj Aniceto, membro della Consulta Antidroga di palazzo Chigi, ha riassunto: «Ha diritto di parola e di canto». Insomma almeno su questo i sindacati hanno messo tutti d'accordo. E comunque la loro strategia, che lascia il povero Godano con il cerino in mano a dieci giorni dall'evento, sembra la stessa del Pd di Bersani così assurdamente in balìa di pregiudizi e vetero ossessioni della base. Non contano la politica, il popolo o il buon senso: contano le regole ferree stabilite dal partito o da chi per esso. E stop.

Lui, l'organizzatore incolpevole, spera che il concertone «abbia la forza di superare pure questo». Può darsi.

Ma se sarà così, le prossime edizioni dovranno setacciare molta di quella spocchiosa presunzione di superiorità morale che l'ha accompagnata finora. La «bannatura» di Fibra, come l'hanno già battezzata sul web, è roba da vecchie feste dell'Unità, quelle dove io sono io e voi non siete un cazzo. La cecità spacciata per ideologia. Per di più, qui c'è l'imprimatur dei sindacati, ossia di chi dovrebbe difendere i diritti dei lavoratori. Certo chi ieri applaudiva l'espulsione di Fibra con la stessa intensità del Politburo ai tempi di Breznev, magari non si rende conto che intorno al rapper, come a qualsiasi artista medio grande, ruotano decine, spesso centinaia di tecnici, discografici, manager, impiegati che ieri mattina leggendo il Corriere della Sera (che ha dato in anteprima la notizia) hanno scoperto di dover cambiar programmi e magari perdere un'occasione di lavoro. Perciò, ancor più della censura, questo schiaffo a pubblico e lavoratori trasforma la decisione della Cgil in un autentico manifesto di ciò che non si dovrebbe fare quando si crede (si pretende) di rappresentare una moltitudine di cittadini.

E allora, al di là che Fibra piaccia o no, qualsiasi decisione del sindacato d'ora in poi legittimerà la domanda che tanti già si fanno: ma questi hanno capito in quale tempo viviamo? Senza giri di parole, la risposta è no.

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