Cultura e Spettacoli

«Le confidenze» di Stravinskij sono lezioni sulla bella musica

Non si può dire che nella bibliografia di Igor Stravinskij manchino esposizioni e sviluppi sul tema memorialistico, in parte frutto di un lavoro a più mani, come le autobiografie apparse nel periodo di grande affermazione fra le due guerre, proseguite copiosamente nella maturità, con l'onnipresente filtro del segretario-famulo del ménage Stravinskij, Robert Craft. É dunque altamente istruttivo leggere Confidenze sulla musica (Actes Sud, pp. 404, con la curatela scrupolosa e senza tagli di Valérie Dufour), scritti e interviste del compositore russo, che coprono un abbondante quarto di secolo, dal trasferimento in Svizzera (1912) alla vigilia della partenza per gli Stati-Uniti (1939).

«Niente è più difficile che parlare di musica. Lo si può fare utilmente solo mettendosi sul terreno tecnico e professionale» dichiarava Stravinskij nel 1936 nel corso di una lunga causerie radiofonica con lo scrittore ginevrino Charles-Albert Cingria (più di una volta elegante gost-writer del compositore russo). «Se si abbandona quel terreno si annega e si divaga». Stravinskij rompe la consegna di non pronunciarsi sulla sua musica per scagliarsi contro i «cattivi pastori», i critici - pompieri d'avanguardia e pompieri non d'avanguardia. I primi parlano difficile, «musica e Freud, musica e Marx»; i secondi, «meno dannosi», discettano di «musica e melodia, amano il sentimento, parlano d'emozione. Signori pompieri dell'avanguardia, non disprezzate oltremisura i vostri colleghi anziani: c'è da temere che passiate di moda più velocemente di loro; il tempo vi minaccia più del fiuto umano». Il gusto per la boutade non lo abbandona: «Wagner comprendeva ammirabilmente tutti gli strumenti a fiato e sapeva dominarli con una maestria degna dei nostri migliori capi fanfara». Nega l'esistenza di un Gruppo dei Sei. Rende un doveroso onore delle armi a Ravel morto (1937) - «amico di lunga data» - con formula laudatoria di circostanza: «Grande musicista il cui prestigio è riconosciuto nel mondo intero». Nessuno ha la grandezza di Picasso (nemmeno fra gli scrittori che rispetta - Proust - o con cui lavora - Cocteau). Nello stesso anno si impegna nell'argomentato ricordo di Djagilev, «quel periscopio di diamante nero puntato sugli avvenimenti e sugli esseri» (definizione di Cingria), certo una personalità, secondo la definizione che Stravinskij mutuava (per sé stesso) dal filosofo neotomista Jaques Maritain: «La personalità è quasi una nozione divina: è la qualità dell'essere fornito del dono. L'individualità, invece, tiene testa a Dio ed è una forma d'orgoglio raffinato, di egoismo».

La personalità riceve e rende: in questa corrispondenza Stravinskij riconosceva un ordine divino al quale sottoporsi con la Fede del lavoro quotidiano.

«La composizione è una funzione mantenuta da una continua attività».

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