Cultura e Spettacoli

"Così Pisanò ha raccontato il dramma dei fascisti dell'Rsi"

L'autore de "Il Sangue dei vinti" ci spiega come negli anni Sessanta il giornalista abbia infranto un tabù culturale

"Così Pisanò ha raccontato il dramma dei fascisti dell'Rsi"

Esiste anche la storia e il coraggio di chi stava dalla parte sbagliata. Esistono anche le colpe di chi si è trovato dalla parte del vincitore. Ma in Italia questo elementare ragionamento a lungo non si è applicato al periodo compreso tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. Anche soltanto parlare di un'evidenza, ovvero del fatto che fosse stata una vera e propria guerra civile era ben poco gradito agli storici accademici, spesso accademici proprio in quanto dotati di un preciso orientamento politico.

Il primo a cercare di rompere questo velo di silenzio non è stato infatti un cattedratico, ma un giornalista: Giorgio Pisanò (1924-1997). Le sue inchieste e i suoi libri, per quanto ostentatamente ignorati dall'intellighezia di sinistra, hanno fornito per la prima volta agli italiani, almeno quelli disposti a farlo, la possibilità di leggere una narrazione meno stereotipa. Quanto sia stata importante l'azione culturale di Giorgio Pisanò per rompere i tabù sulla storia della Guerra civile italiana lo abbiamo chiesto anche all'altro grande revisionista Giampaolo Pansa (da poco in libreria con il suo ultimo volume L'Italia non c'è più. Come eravamo, come siamo, Rizzoli). Forse ancora più eretico nel rompere questo tabù in quanto di sinistra.

Pansa, quando le è capitato di avvicinare per la prima volta le opere di Pisanò?

«Io mi sono occupato di guerra di liberazione sin dalla mia tesi, 600 pagine, che vinse il premio Einaudi e poi divenne un libro. Appena iniziò a pubblicare sul tema io iniziai a leggerlo. Capii da subito il grande merito che avevano le inchieste e i libri di Pisanò. Sino a quel momento sul tema, il lacerante conflitto civile tra il '43 e il '45, avevano potuto parlare e scrivere solo gli antifascisti e, soprattutto, gli antifascisti comunisti. A partire dal suo Sangue chiama sangue del 1962, questo giornalista con il piglio dell'indagine ha messo a disposizione di chi voleva ascoltarla anche la voce degli altri. Di quella generazione, a cui anche Pisanò apparteneva, che, cresciuta con gli ideali del Fascismo, non ha voluto o saputo rinnegarli. Pisanò quell'esperienza l'aveva vissuta sino in fondo».

Conosceva quel mondo?

«Certamente. Poi è venuto il suo lavoro storiografico iniziato, a partire soprattutto dalle immagini, quando Edilio Rusconi gli chiese di realizzare il documentario fotografico Il vero volto della guerra civile. Pisanò dimostrò subito la sua capacità di raccolta di dati. Era un lavoratore preciso e certosino. Era solitario e determinato. Questo gli ha consentito di costruire un enorme archivio che ora è gestito da suo fratello Paolo che a volte mi ha consentito di utilizzarlo con grande generosità».

Come vennero accolte le opere di Pisanò?

«Solo il fatto che tu lo chieda rivela la tua età. Silenzio ed ostracismo dall'accademia. Come se non esistessero. Oppure una scarica di querele. Per questo Giorgio Almirante lo candidò al Senato. Per fornirgli un minimo di scudo. Ma l'opera di Pisanò non era una emanazione del Msi anche se qualcuno cercò di etichettarla così. Pisanò era un solitario».

Ma lei l'hai conosciuto personalmente?

«Sì era quello che gli spagnoli definirebbero un hombre vertical. Che si può più o meno tradurre come un uomo tutto d'un pezzo. Era molto morale, pensava, secondo me, nei termini di un dover essere. Mi sono spesso chiesto dove l'avrebbe portato il suo lavoro di ricerca se non fosse morto troppo presto. Per fortuna ha lasciato un grande lascito, il suo archivio».

Faccio l'avvocato del diavolo. Nella sua ricostruzione della storia Pisanò partiva da un punto di vista preciso. Questo ha avuto effetto sull'oggettività del suo racconto?

«Io penso che i suoi lavori, a partire dalle dispense originali in cui venne pubblicata a puntate Storia della guerra civile italiana, siano accurati. Personalmente li ho studiati molto e non ho mai trovato errori. Pisanà non è stato un autore intossicato dalla fede ideologica. Ed è per questo che ripubblicarlo oggi ha ancora pienamente un senso. Io ho sempre pensato che la storia vada sempre guardata dai due lati. Soprattutto la storia di una guerra civile. Le guerre civili sono tutte sporche. Parte dello sporco, dell'ignominia, quello che stava dalla parte dei vincitori, è stato ignorato. E sono esistiti anche un coraggio e una dignità che vanno riconosciuti a chi quella guerra l'ha persa. Deve essere per forza un racconto a due voci. È per questo che me ne sono occupato così a lungo anche io. E non è stato facile, quindi ho perfettamente chiaro il tipo di ostracismo che ha dovuto affrontare Pisano. Ancora nel 2003 quando è uscito Il sangue dei vinti l'argomento era assolutamente tabù. E si rischiava ancora di essere messi al bando.

Parlo per esperienza personale».

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