Cultura e Spettacoli

Cruz e Banderas in “Competencia Oficial

Performance attoriali eccellenti, caratterizzazioni caricaturali e iperboli satiriche basate su pregiudizi in parte fondati, rendono il film uno dei più divertenti passati ad un Festival negli ultimi anni

Cruz e Banderas in “Competencia Oficial”: a Venezia il cinema ride di sé e conquista

Competencia Oficial, il film in concorso presentato oggi alla 78esima Mostra del cinema di Venezia è un vero spasso. Difficile ricordare altre proiezioni recenti con risate tanto sincere in una sala gremita di giornalisti e critici.

Diretto dagli argentini Mariano Cohn e Gastón Duprat, che nel 2016 avevano partecipato al Festival con “Il cittadino illustre”, “Competencia Oficial” vede riunita la coppia Banderas-Cruz e, pur aggiungendosi al nutrito elenco di film sul “mestiere del cinema”, spicca per l’autoironia con cui racconta il dietro le quinte della progettazione di un film. L'opera esplora quelle che sono non le difficoltà produttive, bensì quelle relative alle relazioni umane tra regista e attori e, soprattutto, degli attori tra di loro.

L’incipit vede un ottuagenario uomo d’affari che non si accontenta più di essere un milionario e, volendo rendere in qualche modo eterno il proprio nome, decide di finanziare un film di sicuro successo. Una volta accaparratosi a caro prezzo i diritti del libro di uno scrittore Premio Nobel, assume la pluripremiata regista Lola Cuevas (Penélope Cruz) e due attori molto celebri: Félix Rivero (Antonio Banderas), di casa nel cinema hollywoodiano, e Iván Torres (Oscar Martínez), illustre interprete di pellicole impegnate. Far lavorare assieme due interpreti agli antipodi per valori, gusti e formazione, diventa ben presto una vera impresa. A promuovere un proficuo confronto tra i due coprotagonisti pensa l’eccentrica Lola: intende prepararli alla macchina da presa attraverso una serie di “esercizi” in grado, secondo lei, di generare complicità ma che invece finiranno con l’alimentare un gioco al massacro.

“Competencia Oficial” indaga l’interazione fra tre talenti istrionici, intendendo quelli dei personaggi del film ma anche dei loro interpreti, in una lunga e variegata gara di bravura. Palleggiando a ritmo sostenuto con dialoghi di tagliente comicità, i personaggi sviscerano il processo creativo, discettano di competenza professionale, misurano i propri ego e tengono a bada per quanto possibile il proprio bisogno di riconoscimento. Sono tutti accomunati dalla voglia di lasciare il segno, dal produttore improvvisato ma danaroso in poi.

La sinossi del film che concorreranno a realizzare è ambientata in un paese di campagna nel 1970 e vede due fratelli rivaleggiare. Per rendere bene sullo schermo il rapporto tra consanguinei, la regista chiede che i due protagonisti si immaginino come una cosa sola in due corpi e farà di tutto, passando all’atto pratico in modi inusitati e folli, perché interiorizzino l’idea.

Quello di cinema è un concetto talmente vasto, figuriamoci quanto ampio può essere il ventaglio di personalità ravvisabili tra i suoi addetti ai lavori. Il film gioca in particolare con due immagini caricaturali (ma non troppo) di attore, agli antipodi tra loro.

Abbiamo quindi lo sciupafemmine con casa a Saint-Tropez e cinque figli da quattro donne diverse, che mangia biologico, si autopromuove su Instagram e si presta a video per la salvaguardia del delfino rosa. Un uomo che sul versante professionale è fan del minimo sforzo e massimo risultato, adottando scorciatoie per calarsi nel ruolo e poi, nel resto del tempo, poter pensare a godersi la vita. Di tutt’altro stampo il maestro di recitazione con cui si trova a interfacciarsi in scena e che è invece munito di moglie sciatta ma impegnata, viaggia solo in economy per scelta etica, studia a lungo il personaggio prima di interpretarlo e ritiene il pubblico una massa di incolti.

Ad arbitrare un incontro e scontro tra siffatti individui diverte che sia la regista col volto della Cruz, non certo un esempio di diplomazia, ma un irresistibile groviglio di contraddizioni. Figura geniale e pazzoide, la caratterizzazione di questa mina vagante rivisita i luoghi comuni sull’artistoide da manuale rendendolo un’icona. Munita di un album di appunti che pare realizzato da Basquiat con il supporto di almeno dodici suoi cloni, la Lola del film è un mix di ispirazione, risolutezza e incognite psichiatriche. Giovanna d’Arco della settima arte munita di anfibi e di immancabili pezzi Chanel, disdegna la depilazione ascellare ma non l’amore saffico, l’autoflagellazione e il free-child pride. A lei vengono però anche affidate furtive, perché istantanee, riflessioni di natura intellettuale (e in parte filosofica) inerenti a film e cinema: piccoli barlumi, brevissimi cenni di profondità che sarebbe un errore liquidare come esternazioni pittoresche conformi al personaggio.

Lo stato del cinema in “Competencia Oficial” è descritto con un realismo ilare: c’è il sottoscala in cui si tiene una lezione di dissuasione agli aspiranti attori (“poveri ragazzi”), c’è l’assistente personale chiamato cinicamente “fattorino”, ma soprattutto c’è l’ipocrisia di chi si assurge a puro in maniera integralista e disprezza chi diverso da lui.

Durante la visione sovviene, detto con simpatia, il perché in tempi non recenti si usasse seppellire gli attori fuori dalle mura delle città.

“Competentia Oficial", in definitiva, è un film campione di autoreferenzialità ma soprattutto di brio.

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