Cultura e Spettacoli

La dea Fortuna di Ozpetek bacia tutte le famiglie (e benedice gli amanti)

Edoardo Leo e Stefano Accorsi sono una coppia in crisi che si ritrova... con due figli da crescere

La dea Fortuna di Ozpetek bacia tutte le famiglie (e benedice gli amanti)

Quelli di Gomorra, se si piacciono, fanno «pesce e pesce», come nella scena di culto della fiction. Ma nei film di Ferzan Ozpetek, lui e lui fanno cuore e cuore: il regista de Le fate ignoranti, Saturno contro e Mine vaganti è più tenero dei delinquenti di camorra. E stavolta, ne La dea Fortuna (da domani in sala con Warner Bros), uno degli autori più noti del nostro cinema non si nega nulla. Mina a gogò (da Chihuahua a Luna diamante, con Ivano Fossati), che commuove i sassi: d'altronde, Ozpetek ama Mina, la conosce e si consulta con lei, anche quando lei non c'è. E poi Diodato e coretti di bambini su note malinconiche, ma, soprattutto, una storia d'amore coi fiocchi tra due belli, baffi neri e occhi liquidi. Arturo, uno Stefano Accorsi maturo ed elegante, fallito come aspirante professore e Alessandro, Edoardo Leo nella sua performance più sincera, ovvero da uomo dei cantieri, che mangia patatine fritte come Donald Trump. I due amanti si prendono, si lasciano, si ritrovano. Fotoromanza? No, di mezzo ci sono due bambini, lasciati in custodia dalla svitata amica comune Annamaria (Jasmine Trinca), che è malata e muore. Quindi, tema d'attualità stringente: possono due signori crescere due ragazzini, orfani di madre? Massì. E chi se ne importa di quel che dice la strepitosa Barbara Alberti, qui madre un po' strega della morta: con i suoi completini Chanel, tra le ampie stanze d'una villa in Sicilia, finirà chiusa a chiave nello sgabuzzino, mentre i due adulti e i due bambini vanno a tuffarsi in mare. Omnia vincit amor. E le divergenze? Seppellite da uno sguardo: per amarsi basta fissare l'amato, chiudere gli occhi e farsi scivolare dentro la sua immagine. Così dice la Dea Fortuna. Non a caso il Santuario della Fortuna Primigenia, a Palestrina, è una meta archeologica di Ferzan...

«Il film non nasce dal desiderio di intervenire nel dibattito intorno alle famiglie arcobaleno. Ho troppo rispetto per ogni tipo di famiglia, per strumentalizzarle ai fini del mio racconto. È certo però che i miei personaggi scoprono che essere genitori non è una questione genetica, ma di cuore, cervello e moralità. Si è genitori dalla cintura in su, non dalla cintura in giù», afferma l'autore. I suoi protagonisti piangono tanto: piange Arturo, piange Alessandro. Gli unici che non piangono sono i bimbi orfanelli. Anzi, la femminuccia chiede spesso: «Ma non dormite insieme?», ai due signori in lite, quindi in letti separati. Quanto al ragazzino, egli parla con la statua della Dea Fortuna, scambiandola per la mamma. Ma si sa: è cinema e tutto è lecito.

Ozpetek, però, gira sempre lo stesso film: tavole imbandite di ogni bendiddio, amici intorno alla mensa, balli simil-turchi (qui, sotto la pioggia) e tanto concionare di cuore&amore su sfondi di case romane bellissime, dotate di ampia terrazza, dove ballare e mangiare.

«Un anno fa mio fratello era gravemente malato. Sua moglie, a cui sono molto legato, mi aveva chiesto, in caso fosse successo qualcosa di grave anche a lei, di occuparmi insieme al mio compagno dei suoi due figli... Eppure, questa richiesta mi ha spalancato un mondo di angoscia, dubbi e paure... Questo film è stato un modo per esplorare quei dubbi e quelle emozioni», rivela Ozpetek.

Invidiosissimi della bravura di Barbara Alberti, Leo e Accorsi a un certo punto hanno temuto di venir eclissati, almeno così narra Ferzan.

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