Cultura e Spettacoli

Gaber, il poeta che batte il tempo

A dieci anni dalla morte, un libro celebra l'attualità di un libero pensatore che ancora oggi riesce a spiegarci la realtà

Gaber, il poeta che batte il tempo

E il bello è che Giorgio Gaber rimane ancora qui. Dieci anni dopo. Attualissimo. Se ne è andato allo schioccare del 2003, dopo aver vissuto, cantato e soprattutto pensato in anticipo sui tempi. Rocker quando in Italia quasi non si vendevano neanche le chitarre elettriche. Showman in tv quando la tv era creatività coraggiosa. Poi creatore in proprio (insieme con il grandissimo Sandro Luporini) del teatro canzone, una forma tuttora ineguagliata di ospitalità del libero pensiero. Sul palco Gaber cantava, ovvio, e in un primo tempo nei suoi spettacoli faceva solo quello. Ma poi prese a dialogare con se stesso facendo scoprire a tutti che parlava a ciascuno. Monologhi collettivi, quasi.
Il teatro canzone.
Nei primi anni Settanta, giusto dopo la sbronza del '68 e in attesa che il conformismo tracimasse, Gaber diventò il beniamino di chi stava contro purchessia, contro qualsiasi cosa bollata di conservatorismo o peggio, contro il passato o contro il buon senso. Gaber però non era contro. Era altro. E non c'era nulla di peggio, allora, di non scherarsi.
Diventa più aggressivo, quasi infastidito dal consenso, specialmente da quello del Movimento, ossia il pubblico schierato acriticamente a sinistra. Piano piano, anche attraverso discussioni con Luporini, Giorgio Gaber si conferma libero in un mondo che spesso credeva soltanto di esserlo. Nasce Polli d'allevamento, che debutta a ottobre del 1978 a Parma. L'iradiddio. Luporini, con il suo stile, ne ha scritto nel passo del libro G. Vi racconto Gaber che pubblichiamo qui di fianco. E lo stesso cantattore (imprudente crasi di moda negli anni '70) riassumeva così quel periodo: «Quando finisco lo spettacolo, so benissimo che s'incavoleranno, che fischieranno, sento questa cosa che mi arriva addosso e di nuovo rimango con l'occhio spalancato di notte, mi ritrovo a non addormentarmi fino alle otto di mattina per superare questo choc dello scontro» (da Il signor Gaber, Gammalibri 1979). Da allora Gaber è stato finalmente di tutti, che significa essere di nessuno e garantire arrabbiature a turno, a destra come a sinistra. Perciò, nel ricordare i dieci anni senza di lui, l'Italia alla fine scopre di averne trascorsi altri dieci con lui. Implacabile.

E clamorosamente, talvolta impietosamente, sempre attuale.

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