Cultura e Spettacoli

Con Geoff Dyer nei misteri della «Zona» di Tarkovskij

Massimiliano Parente

Non sempre un film di fantascienza è quello che ci aspettiamo. Per esempio Stalker, pellicola del 1979 del regista sovietico Andrej Tarkovskij, è ufficialmente un film di fantascienza, ma sfido chiunque di voi a riconoscerlo come tale, anche perché c'è il rischio di addormentarsi strada facendo, dopo due ore siete ancora all'inizio del film, più o meno. La trama è semplicissima: tre uomini (lo Stalker, un professore e uno scrittore), in un paese imprecisato (probabilmente l'Unione sovietica, ma la censura aveva imposto di renderla irriconoscibile) decidono di raggiungere la Zona, un misterioso luogo da cui sembra nessuno sia mai tornato e che contiene una stanza in grado di realizzare i nostri desideri più reconditi.

Il tutto procede con una lentezza esasperante, ma anche affascinante, a tal punto che nel 2008 David Thompson lo inserì tra i mille film più belli della storia, e sul significato da dare alla Zona si sono scervellati in molti, per ultimo Geoff Dyer con un libro intitolato appunto Zona (Il Saggiatore, pagg. 192, euro 24). Che cos'è la Zona? C'è un riferimento ai gulag e al desiderio di uscirne? Per esempio Anne Applebaum in Gulag spiegò come per i detenuti nei campi «il mondo al di là del filo spinato non si chiamava libertà ma bol'saja, la zona di prigionia più grande, più ampia e meno letale della zona piccola del campo, però non più umana, e di certo non più benevola». Dyer precisa che Stalker non è un film sui gulag, «eppure l'assente e mai menzionato gulag viene costantemente evocato». Ma allora cos'è la Zona? Un luogo onirico, psichedelico, simbolico? In realtà neppure Dyer riesce a arrivare a capo dell'enigma, concepito dal regista per restare tale. Quanto alla lentezza, perfino i funzionari sovietici sbadigliarono, ma Tarkovskij rispose che non gliene fregava niente del pubblico, solo dell'opinione di Bergman e Bresson. Forse il film più noioso della storia, ma anche il più misterioso, fatto di piani sequenza infiniti e angosce imperscrutabili, e che risponde a una precisa intenzione del regista: «Se la lunghezza di una ripresa viene aumentata, lo spettatore si annoia, ma se la allunghi di più cattura il tuo interesse, e se la allunghi ancora di più viene fuori una qualità nuova, una particolare intensità di attenzione».

Se avete visto Stalker leggete il libro di Dyer, se non l'avete mai visto vedetelo, armandovi di una buona dose di caffè.

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