Cultura e Spettacoli

La guerra delle attribuzioni tra falsi, dubbi e "in fuga"

Tanto scandalo per l'incerto "Giuditta e Oloferne" a Brera. Ma s'è visto di peggio: opere finite all'estero o perizie facili

La guerra delle attribuzioni tra falsi, dubbi e "in fuga"

È stupefacente che, per un quadro che entra in Italia, e consente una discussione, partendo dalla proposta di un storico dell'arte autorevole e sapiente, che è stato Soprintendente di grande prestigio per lo Stato, e stimato in ogni parte del mondo, come Nicola Spinosa, tanti si scandalizzino e protestino. Fra loro non mancano coloro che hanno serenamente legittimato l'esportazione di capolavori italiani all'estero. Il dipinto scoperto a Tolosa, protetto dallo Stato francese perché riconosciuto, come è, importante, è una Giuditta e Oloferne, intelligentemente ospitato, col vento favorevole che accompagna Caravaggio, alla Pinacoteca di Brera dal valoroso direttore James Bradburne. Non avrebbe potuto desiderare di più, quest'uomo fortunato, di una insensata campagna promozionale di antagonisti perditempo, nemici dell'Italia, che hanno criticato l'iniziativa, manifestando disprezzo anche per Spinosa, oltre che per il buon senso.

Quali le motivazioni di questa demonizzazione? Una sola, incredibilmente enfatizzata, fino alle patetiche dimissioni di un tal Giovanni Agosti dal comitato «scientifico» del museo perché l'opera non è stata esposta dubitativamente, come non certa e «attribuita» a Caravaggio. Dunque per l'assenza, in didascalia, di un punto interrogativo. Tutto qui? Tutto qui. Naturalmente ne derivano insinuazioni di ogni genere che fanno riferimento al mercato, e al peccato originale (quando il mercante non è tuo amico) dei beni privati che non siano di arte contemporanea (allora viene evocato il mecenate, il protettore delle arti). Come se in un museo, e anche a Brera, non fossero esposti dipinti attribuiti e variamente discussi. Facciamo qualche caso (caravaggesco e non solo). C'è un documento che attesta che la versione Odescalchi della Caduta di Saulo è di Caravaggio? Variamente esposta, anche a Palazzo Marino a Milano, poggia su una antica attribuzione del debole Giulio Carlo Argan, e nessuno ha protestato. Alla Galleria nazionale di palazzo Barberini c'è un celebre Narciso, sicuramente (per unanime orientamento della critica più avvertita) non di Caravaggio, ma certamente esposto senza punto interrogativo. Ovunque è stato proposto (e ora, senza scandali e nel silenzio agostano, in una sede pubblica ad Ancona, nella Pinacoteca civica Podesti) come Caravaggio, il Fanciullo morso dal ramarro della Fondazione Longhi, che tutti sappiamo essere una copia della versione ora alla National Gallery di Londra, ma nessuno - e tantomeno Agosti - ha protestato. Capisco l'ammirazione e il rispetto per Roberto Longhi (e Dio sa quanto io e tutti gli dobbiamo), ma non è una ragione per chiudere entrambi gli occhi. Amicus Plato sed magis amica Veritas. Sul quadro, con comprensibile imbarazzo, si è pronunciato di recente in un ottimo studio iconografico, Giacomo Berra, tra i migliori (e sereni) studiosi caravaggeschi. Dove è documentato, oltre alla attribuzione di famiglia, come autografo? Niente punto interrogativo? Solo a Brera si richiede? Longhi sì, Spinosa no? E dove erano, tetragoni in un irriducibile silenzio, l'Agosti (specialista di Rinascimento lombardo) e Tomaso Montanari quando al Quirinale, con milioni di euro buttati, e inverosimili legittimazioni di magistrati, carabinieri e funzionari, veniva esposta l'immonda «tavola Doria», come un capolavoro (così era definita nel titolo) concepito nella luce di Leonardo, il cui nome fu evitato all'ultimo momento, senza mutare la retorica e la sostanza? Il «capolavoro» era indegno di Porta Portese. Magistrati e carabinieri forse intimidiscono gli intemerati moralisti. Il dipinto caravaggesco prestato a Brera non è una fetenzia come la tavola Doria, vero scandalo di Stato passato sotto silenzio. Una bufala.

La tavola infetta fu fatta solennemente passare come esemplare recupero di un'opera esportata abusivamente (la mostra, inaugurata dal presidente Giorgio Napolitano, raggirato dalle principali competenti autorità giudiziarie e ministeriali, ignare e compiaciute, aveva il titolo La Tavola Doria: il rientro di un grande capolavoro!). Almeno due milioni di euro spesi per una crosta che valeva meno di 2000 euro, al mercatino. Ora che rientra un opera notevole di conio caravaggesco, con effetti benefici per la frequentazione del museo, le anime belle protestano, scandalizzate. E perché non hanno protestato mai, da quando è uscito per sempre, nella astinenza di magistrati e carabinieri, e con la benedizione di uno spregiudicato direttore, un capolavoro assoluto e certo di Caravaggio, come La negazione di Pietro, finito al Metropolitan Museum di New York?

Ci sono responsabilità penali e responsabilità morali. L'ex direttore del Metropolitan Museum of Art di New York, Keith Christiansen, è convinto che la magistratura italiana abbia compiuto il miracolo di restituire la verginità di una impossibile esportazione regolare a uno dei grandi capolavori della pittura italiana del Seicento, imprudentemente acquisito e impudentemente esposto nelle sale del museo americano.

Non solo esso è documentato in casa Imparato Caracciolo a Napoli, dove lo vide Roberto Longhi, attribuendolo con furbizia a Bartolomeo Manfredi, ma fu visto, tra il 1963 e il 1964, a Roma, da Maurizio Marini nello studio del grande restauratore Pico Cellini che lo pubblicò, in casa sua, nel volume Falsi e restauri del 1992. Nell'ultima edizione della monografia sul Caravaggio dello stesso Marini, il dipinto è dichiarato «esportato illegalmente», e nessuna sentenza potrà negarlo, contro la verità, anche prendendo atto della impotenza a ottenerne la restituzione. Il fatto è chiarissimo. Verum ipsum factum. E i responsabili del Metropolitan non possono ignorarlo attraverso sofismi giuridici. Per questo, il richiamo all'altro capolavoro del Caravaggio rubato dalla mafia, la Natività dell'oratorio di San Lorenzo a Palermo, è utile a misurare i soliti due pesi e due misure. Il dipinto è la balena bianca degli investigatori italiani e, in particolare, del Nucleo tutela patrimonio artistico dei Carabinieri, che lo ha inseguito con tenacia non ripagata, e non ha mai rinunciato a ricercarlo. E non c'è nessun dubbio che, in qualunque luogo del mondo, anche all'inferno, fosse ritrovato, esso sarebbe restituito a Palermo, con l'orgoglio e l'onore risarcito dell'Italia.

Destino vuole che La negazione di Pietro, uscito dall'Italia più o meno nello stesso momento della Natività di Palermo, non sia stato né rubato né distrutto, ma - dopo una lunga latitanza - sia sfrontatamente esposto in uno dei più grandi musei del mondo. In che cosa preso atto che nessuno avrebbe potuto consentire l'esportazione dall'Italia di un'opera fondamentale come La negazione di Pietro i due dipinti differiscono? E perché tanta ostinazione nella ricerca della Natività, e tanta indifferenza e ipocrisia per un dipinto a portata di mano? Il Vaso di Eufronio, la Dea di Morgantina, capolavori usciti negli stessi anni, e «recuperati», non sono un precedente? Il Vaso è entrato al Metropolitan nel 1972 ed è stato restituito nel 2006. Non è una vergogna che il dipinto di Caravaggio sia ostentato (e al Metropolitan non è la sola opera «clandestina») in un museo straniero, senza che nessuno si muova? E lo scandalo sarebbe che il direttore di Brera esponga un'opera attribuita? Ascoltate, Agosti e Montanari, usi a firmare appelli: chiedete anche la firma di Christiansen contro Bradburne. Così potrà, senza timore, fargli ottenere il prestito della Negazione, un vero Caravaggio, con la vostra benedizione. Dite qualcosa anche del virtuoso Metropolitan, invece che della cattiva Brera! E lasciamo stare, per carità di Dio, per voi così solerti con Caravaggio, la provenienza dei Bari di Forth Worth... Io l'ho visto nel 1986 a Zurigo.

Svizzera. Da dove veniva?

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