Cultura e Spettacoli

Horvath e quella gioventù senza Dio

Intitolerei Horvath o l'equivoca assurdità del male un profilo di questo autore importante e semidimenticato nonostante ogni tanto gli si riconosca il peso che si merita. Dato che questo scrittore anomalo inaugura il XX secolo e muore a 37 anni nel 1938 quando l'Austria è ormai attratta nell'orbita hitleriana. Lui è un letterato che ha scritto magnifici romanzi e annovera una teatrografia interessante, ma viene ricordato più per la sua morte accidentale (schiacciato da un albero durante un temporale sugli Champs Elysée). Oggi il teatro italiano si ricorda di lui per un romanzo, Gioventù senza Dio, che sulla scena assume un aspetto inquietante più assimilabile alla colonia polacca che alla Felix Austria. E questo perché sulla scena il continuum viene assicurato dallo scontro fra un professore democratico e un giovane che incarna il male come una pericolosa maschera eversiva e che gli si oppone senza soluzione di continuità. Così facendo il dialogo che dalla scena si riversa in platea assume tratti dolorosi quando si scopre che l'omicidio di uno studente viene addebitato all'insegnante che avrebbe autorizzato qualsiasi azione criminosa. In uno spettacolo in cui i due bravissimi interpreti (Emanuele Vezzoli e Nicola Esposito) continuano a scambiarsi battute velenose che sembrano segnali di perdono e assurde tenerezze che suonano invece come un invito a morte.

E questo per merito della regia calibrata e precisa di Walter Le Moli e degli interpreti da lui diretti per incarnare questa pericolosa ambiguità.

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