Cultura e Spettacoli

L'Inferno di Zeffirelli Storia di un capolavoro che ora si può vedere

Gran galà con vip. In una sala i bozzetti del film inedito tratto da Dante. Con Dustin Hoffman

L'Inferno di Zeffirelli Storia di un capolavoro che ora si può vedere

Insomma, benvenuti nella storia di Franco Zeffirelli. Entusiasmante. Qualche volta dimenticata. Ora ci si può passeggiare dentro attraversando le sale dell'ex Tribunale di Firenze, un palazzo settecentesco di bellezza austera e fascinosa nel quale ieri si è inaugurato ufficialmente il Centro per le Arti dello Spettacolo Franco Zeffirelli. In pratica il museo di questo maestro che l'Italia non tiene abbastanza in considerazione nonostante sia uno dei simboli del Novecento, all'opera, al teatro e anche al cinema. E, per rendersene conto, non c'è bisogno di passare di fianco all'abito di ermellino (creato da Scervino) che Cher ha indossato nel film Un tè con Mussolini del 1999 oppure a quello di Maria Callas nella Traviata del 1958 alla Scala, entrambi diretti da Zeffirelli. E neppure serve la locandina della Bisbetica domata del 1967, girato da Zeffirelli con Elizabeth Taylor e Richard Burton, praticamente una delle coppie cinematografiche più famose di tutti i tempi.

Per capirci, c'è un motivo se questo eterno ragazzo di 94 anni, nato a Vinci e per qualcuno discendente addirittura di Leonardo, ha conquistato 14 nomination agli Oscar e una lenzuolata di premi che la maggior parte dei registi italiani se la scorda. La creatività. Sala dopo sala, qui nel palazzo silenzioso a due passi da Piazza della Signoria, c'è l'Italia più bella, quella creativa. Abiti originali, spesso immaginati dallo stesso Zeffirelli, come quelli della Cavalleria Rusticana diretta da Georges Pretre alla Scala con Placido Domingo nel 1981. O quelli del Don Carlo con Luciano Pavarotti alla Scala nel 1992. Un talento eclettico, quindi contestato. Soprattutto, un genio che l'Italia non ha sempre tenuto nella giusta considerazione per le sue idee talvolta ispide e ribelli (convisse con Luchino Visconti, si definisce «omosessuale ma non gay») e magari anche per la dichiarata lontananza dall'establishment radical chic (è stato senatore per due legislature per Forza Italia). In ogni caso, all'interno del Centro Zeffirelli si respira un'atmosfera rarefatta e nutriente di conoscenza e cultura capace di allargarsi ben oltre i nostri confini. E di diventare modello per altri artisti. E allora, per forza, una lunga fila di interpreti, attori e intellettuali sono passati sul red carpet per salutare la nascita di un progetto che il maestro ha pensato per la sua Firenze: raccogliere tutte insieme le testimonianze di oltre settant'anni di arte. Nell'Auditorium settecentesco, davanti ad Andrea Bocelli, accompagnato al piano da Nicola Piovani, e ai sessanta coristi di Voices of Haiti (che hanno interpretato Fratello sole, sorella luna dal film del 1972, oltre a una intensissima Ave Maria), erano attesi Pia de' Tolomei, la vedova di Albertazzi che con il maestro fece opere teatrali di rilievo mondiale, e Cecilia Gasdia, Massimo Ranieri, il tenore Vittorio Grigolo e Trudi Sting, Riccardo Cocciante e Massimo Ghini, poi le gemelle Kessler, Tarek Ben Hammar e Gianni Letta, presidente onorario della Fondazione. Zefffirelli ha assistito alla cerimonia d'inaugurazione collegato da casa con webcam. «Colpiscono l'estrema suggestività degli allestimenti e l'immenso patrimonio dei suoi strabilianti bozzetti», dice il figlio adottivo Pippo Zeffirelli. Ma a colpire, oltre ai diecimila libri accumulati per realizzare copioni e scenografie, è anche la straordinaria vigoria di un progetto iniziato nel 1972 ma mai diventato realtà: L'Inferno di Zeffirelli. In una sala è stato realizzato un cortometraggio in full Hd con l'animazione dei bozzetti e dei disegni pensati per un film che scandalosamente nessuno ha voluto finanziare: quello sulla prima cantica della Divina Commedia, che avrebbe avuto come protagonista Dustin Hoffman. In quella stanza, davanti al megaschermo tra le luci soffuse, in mezzo alle 38 tavole firmate Zeffirelli, c'è una traccia quasi sfiorabile con le dita di un furore creativo che spesso si è disperso in mille rivoli e che qualche volta, magari per difetti di comunicazione oppure per insensibilità dei media, sono appassiti nel silenzio. In sostanza, casomai ce ne fosse bisogno, il viaggio nel mondo di Zeffirelli è una boccata d'ossigeno che prende energia in tre universi distinti ma contigui. La lirica e l'opera, con le quali esordì a fine anni Quaranta di fianco a Luchino Visconti. Il cinema, che ha anche suggellato l'amore di Zeffirelli per la lirica in Callas Forever del 1992 con Fanny Ardant e Jeremy Irons. E infine il teatro (memorabile l'Amleto con Albertazzi messo in scena anche a Londra nel 1964).

In poche parole, in questi 3700 metri quadrati, sono racchiusi il genio solitario di un uomo controverso e ribelle, ma anche il pressapochismo fazioso di chi talvolta gli ha preferito talenti stranieri molto meno inventivi.

E forse oggi è il momento giusto per rimettere le cose in pari.

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