Cultura e Spettacoli

Lombroso e la lucida follia di un giornale dei matti

Nel 1872 l'antropologo creò a Pesaro il primo diario italiano scritto dai ricoverati in un ospedale psichiatrico. Un libro ne racconta la storia

Lombroso e la lucida follia di un giornale dei matti

«In conformità a quanto si usa nei migliori Manicomi di Germania e Inghilterra, il sottoscritto ha pensato d'istituire una specie di Diario o bollettino, stampato, e, nella parte letteraria, anche, composto dai ricoverati...».

Il «sottoscritto» di questa circolare del manicomio di San Benedetto in Pesaro datata 22 aprile 1872 è Cesare Lombroso, il futuro autore di Genio e follia, L'uomo delinquente, La donna delinquente e via pazziando. A trentasette anni, in Italia era già un pezzo grosso in tema di studi psichiatrici e antropologici. All'Università di Pavia lo consideravano, se non un barone, un baronetto. E quando, nel luglio 1871, il Consiglio provinciale di Pesaro gli aveva proposto di assumere la direzione del San Benedetto, lui aveva detto sì, ma a patto che fossero introdotte sostanziali migliorie nel trattamento degli ospiti, sia dal punto di vista dell'igiene e della qualità delle stanze, sia da quello delle attività ricreative e culturali. Inoltre aveva preteso che alcuni medici di sua fiducia si dividessero la cura dei circa trecento pazienti e che in qualità di suo vice fosse assunto il dottor Luigi Frigerio. Chi di dovere ci pensò su, poi decise di accontentarlo: il 19 marzo 1872 Lombroso, fresco della prima Esposizione di Antropologia Criminale, si insediava nel Manicomio marchigiano.

E una delle sue prime disposizioni fu, appunto, la creazione del Diario di San Benedetto, autentica bomba silenziosa nel tetro panorama della follia istituzionalizzata nel nostro Paese. La storia di tale esperimento, primo esempio di giornale manicomiale d'Italia, è raccontata da Roberto Vecchiarelli in Cronache dal manicomio (Oltre Edizioni, pagg. 457, euro 21, a breve nelle librerie), un volume che fa luce sulle dinamiche della società italiana nel secondo Ottocento e che sottolinea la carica rivoluzionaria di un classico... uovo di Colombo: trattare i pazzi (compresi i numerosissimi presunti tali, cioè i semplici epilettici, i semplici depressi, i semplici alcolizzati o i semplici reietti scaricati dalle rispettive famiglie) come persone. Né più, né meno.

Il Diario è infatti il filo conduttore del lavoro, documentatissimo, di Vecchiarelli. Il quale non soltanto introduce e commenta i molti contributi dei pazienti, dai toni a volte drammatici, a volte ironici, o romantici, o struggenti, o farseschi, una antologia dei sentimenti che ci fa pensare ai deliri gotici di Follia di Patrick McGrath e alla sconvolgente normalità degli internati volontari di Qualcuno volò sul nido del cuculo di Ken Kesey, ma ci dice anche, in un passo fondamentale per comprendere la storia della psichiatria in Italia, quando e perché tutto finì. «L'interruzione del Diario - scrive l'autore - e la graduale perdita di voce degli internati, corrisponde, intorno al 1904, con una svolta in campo psichiatrico. Come si desume dalla legge del 1904, la finalità di un manicomio non era la cura, bensì la gestione di uno spazio concentrazionario. Con la formula pericolosi per sé e per gli altri e di pubblico scandalo la legge Giolitti disciplinava il manicomio con modalità analoghe a quelle degli istituti di pena». Sarà la legge Basaglia, nel 1978, a mutare radicalmente (secondo molti, troppo radicalmente) la situazione.

«Si seguita a stampare/ Il savio giornaletto/ Sulla riva del mare/ Di questo Ergastoletto», motteggia un ospite nel 1876. Il dottor Lombroso se n'era già andato da un pezzo. Pochi mesi era durata la sua missione a Pesaro. Lamentando la carenza dei fondi necessari a fare il salto di qualità, pur elogiando «il prestigio del nome e della tradizione», tornò a Pavia. Ma il seme che aveva gettato continuerà a lungo a dare frutti.

E l'Italia lentamente incominciò a capire che i matti possono aver ragione.

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