Cultura e Spettacoli

La Madonna partorisce il mistero del Figlio rinunciando alla vita

Come arte e letteratura hanno interpretato la porta d'ingresso di Dio nella nostra storia

La Madonna partorisce il mistero del Figlio rinunciando alla vita

Prima della letteratura, sono state le arti figurative a creare un immaginario intorno alla figura della madre di Cristo. Tra le migliaia di «Madonne col bambino» dipinte dal Rinascimento in poi, una mi ha sempre colpito per come la razionalità organizzativa del quadro riesca ad assumere una forma simbolica. Mi riferisco alla Pala di Brera (o Pala Montefeltro) di Piero della Francesca (1472). Quell'abside, quell'arcata sotto cui è appesa una conchiglia e dalla conchiglia scende un uovo di struzzo appeso a un filo, un uovo simmetricamente perpendicolare alla testa della Vergine e, pure, al centro delle sue mani giunte in preghiera e, ancora, al cuore del bambino Gesù, che riposa come un adulto sdraiato sulle gambe un poco divaricate della madre, la quale pare simuli un nuovo parto (un parto scultoreo, o architettonico)... Ecco, cosa vuole dire Piero?

La severità della Madre, autorevole ma non crudele, la sola a comprendere la solennità del momento. Anzi no, non è solenne ma sublime. La Madonna è la mente di suo figlio, è tutta l'architettura (il punto prospettico); la mente del figlio che dorme, colei che prega da un tempo già risorto. Che è morta prima di suo figlio, perché ne custodisce il cuore prima che questo si apra a lei, che a lei ritorni, che lei raggiunga prima ancora del Padre. La Vergine è già morta quando suo figlio nasce. Vive tra i vivi come una già risorta, anche se nessuno lo sa. Proprio per questo è vergine. Lei è la mente del figlio. È l'architettura. E l'architettura è una tomba, un sepolcro. Anzi, è un tempio - per questo oltre a essere Madonna è pure dèa, e lo si nota proprio dalla sua figura scultorea, lontanissima dalla donna tutta umana che dipingeranno più tardi, che so?, Raffaello e ancora Caravaggio -, lì dove il cielo e la terra si incontrano in quella linea tratteggiata al centro da Piero. La Madonna è custode di un segreto di morte e rinascita.

Lo comprese perfettamente Rilke, che diede parola all'Angelo dell'Annunciazione (in una poesia del Libro delle immagini), quanto in Maria fosse già contenuta la vertigine dell'intera parabola cristiana: «Tu sei la grande, eccelsa porta,/ verranno a aprirti presto./ Tu che il mio canto intendi sola:/ in te si perde la mia parola/ come nella foresta.// Sono venuto a compiere/ la visione santa./ Dio mi guarda, mi abbacina...// Ma tu, tu sei la pianta».

Se la Vergine Madre è stata, in tutti gli studi teologici declinati nelle arti figurative, la possibilità dell'Incarnazione (qualcuno l'ha chiamata il tabernacolo, altri una città ideale, e ancora «la pianta», altri la porta d'ingresso di Dio nella storia dell'uomo), il punto è in quale misura l'Annunciazione ha un doppio significato: l'angelo annuncia al mondo l'Incarnazione di Dio, e a Maria che attraverso lei quella Incarnazione sarà possibile. Ma rendere possibile l'Incarnazione, per Maria, significa rinunciare alla propria vita, a favore di una vita superiore, quella di Cristo. Maria accetta (nel Vangelo di Luca alla chiamata dell'angelo risponde «Eccomi») di non-essere per dare carne a un paradosso, perché l'Annunciazione conteneva inevitabilmente in sé la futura crocefissione, la prova che quel Dio fatto uomo come tutti moriva, e poi, nella carne, risorgeva.

Di recente la letteratura, e in special modo la narrativa, è tornata a ragionare sulla figura di Maria. I modi in cui ne è stato scritto sono però assai dissimili. Per esempio Marek Halter, scrittore polacco tradotto in Italia da Newton Compton, nel romanzo Maria. La madre di Gesù (2013), ne fa quasi un'eroina, una ribelle. Restando in Italia, invece, si contano almeno tre libri pubblicati tra la fine del 2017 e oggi. Il primo è il romanzo di Mariapia Veladiano, Lei (Guanda), che usa una narrazione lirica, in prima persona, volendo mettere l'accento soprattutto sull'aspetto materno, facendo di «lei» la protagonista di un romanzo tutto sommato sentimentale. Laura Pariani, invece, ha provato con un romanzo distopico, Di ferro e d'acciaio (NN Editore), in cui trasfigura il senso della «passione» in un futuro prossimo (e chiama la Madonna Maria N).

E ancora sull'aspetto materno ragiona Mariantonia Avati, che da oggi è in libreria col suo primo romanzo, Il silenzio del sabato (La Nave di Teseo, pagg. 196, euro 17). La Avati concentra la narrazione sui giorni tra la crocefissione di Gesù e la sua resurrezione. E la sua scelta strutturale mi pare molto intelligente. La questione del romanzo, infatti, è la consapevolezza della madre del ruolo che le è stato affidato. Sono giorni di vuoto e di dolore, di dubbi e angosce nei quali Maria tenta di far vivere di nuovo dentro se stessa la promessa fatta a suo figlio («Il patto era morire veramente, soffrire veramente, resistere all'attesa, e vincere assieme, tu e lui»). Mariantonia Avati descrive efficacemente il tempo, tutto mentale, tra il primo «sì» pronunciato da Maria, quello dell'Annunciazione, e il secondo, quello della resurrezione. «Sì» che valgono come due forme di concepimento, due momenti di nascita e di vita, ma attraversati dalla vertigine della morte. Ed è alla realtà di quella morte che Maria tenta, nell'attesa (e nel concepimento) della resurrezione, di trovare una verità, andando pure a cercare Lazzaro (e sono forse le pagine più intense del libro), l'amico che suo figlio aveva fatto tornare dal regno dei morti.

«Tuo figlio ha scelto di nascere in te», ripete lo stesso angelo dell'Annunciazione a Maria, tornandola a trovare prima che tutto si compia, «perché sapeva che tu saresti stata capace di dire sì... e continui a dirlo anche quando sei persa, anche quando credi di non fare bene». Avati comprende che Maria, dopo la morte, deve accettare di divenire madre ancora una volta rendendo possibile la Pasqua di resurrezione - deve difendere, accettandola, la morte del figlio, facendosi lei stessa tempio, sepolcro, da un demone, «la bestia» che ancora minaccia Lui rischiando di far perdere la fede di lei.

È come prestasse di nuovo il ventre a Dio, affinché «il Giusto», nascendo ancora, compia l'opera di salvezza degli uomini tutti.

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