Cultura e Spettacoli

Con Il Giornale, un manuale per resistere ai danni del pensiero unico

Un pamphlet di Luigi Mascheroni per esorcizzare (con ironia) il politicamente corretto dominante

Con Il Giornale, un manuale per resistere ai danni del pensiero unico

Un tempo ci fu l'appena defunto Umberto Eco a prendersi gioco della moda del politicamente corretto, quando ancora non era una bandiera della sinistra. Il sordo era diventato un non udente, il paraplegico un diversamente abile (vale solo se sei Stephen Hawking), e nei suoi diari minimi il semiologo ironizzava sul non dover chiamare «barbone» il barbone, casomai «non banalmente rasato».Gli fece seguito, nel 1993, l'americano Robert Hughes, in un libro divenuto un classico, La cultura del piagnisteo (Adelphi), ovvero la lagna vittimistica che parte ogni volta che qualche categoria si sente offesa da un'espressione. Specificando che «tutto è stupro, fino a prova contraria», per cui un tennis politicamente corretto dovrebbe abolire le linee di campo e perfino la rete, troppo discriminatorie.Sono passati altri vent'anni, e Luigi Mascheroni torna sull'argomento, con il brillante e documentato pamphlet allegato al Giornale, Come sopravvivere al politicamente corretto, perché in effetti le cose nel frattempo sono perfino peggiorate, e non si sa più come parlare. «Il politicamente corretto», scrive Mascheroni, «figlio del più ipocrita bigottismo progressista e padre del peggior fondamentalismo etico, ha già fatto abbastanza danni nel passato, continua a farli nel presente è scontato - li farà in futuro».

Non si uccide più una donna, per esempio, ma si commette un «femminicidio». Per le femministe significa un reato più grave, per altri lo è meno di un omicidio, come un canicidio, un gatticidio, un piccionicidio, e però, che dire, contente loro.È un pensiero unico dominante secondo il quale non solo non bisogna dire «negro», ma neppure «nero», c'è sempre qualcuno che ti corregge con «di colore», come se il bianco non fosse un colore e casomai la somma di tutti i colori (e dunque essere «di colore», un solo colore, peggio ancora). La fobia delle parole, come racconta Mascheroni, non conosce limiti e produce censure a non finire. Censurati sono autori non come il divin marchese De Sade o Henry Miller: si arriva a emendare perfino Astrid Lindgren, perché in Pippi Calzelunghe c'è una «regina negra», meglio trasformarlo in «regina dei Mari del Sud», mentre i Dieci piccoli negri di Agatha Christie è diventato Dieci piccoli indiani. Perfino Tom&Jerry sono stati censurati, in quanto, secondo Amazon «incarnano pregiudizi etnici e razziali che erano sbagliati un tempo e lo rimangono oggi».

Senza considerare Peppa Pig, che offende i musulmani perché con maiali e carne di maiale non vogliono avere niente a che fare, neppure nei cartoni. È la stessa logica per cui si coprono le statue di nudo ai musei capitolini, per non offendere il presidente iraniano Hassan Rohani, il quale nel frattempo impicca sulla pubblica piazza decine di omosessuali.Per quanto riguarda i terroristi islamici non bisogna mai nominare l'islam, ti uccidono in nome di Allah ma arriva sempre un intellettuale a sottolineare che l'islam è un'altra cosa (ditelo ai morti del Bataclan), spaccando regolarmente il capello il quattro (si veda sempre il defunto e santificato Umberto Eco sull'«arte di spaccare il capello in quattro», da lui chiamata «tetrapiloctomia» nel Secondo diario minimo). Mascheroni, nel suo libro, propone addirittura un ironico manuale del politicamente scorretto, tanto per non fare gaffe o farne più coscientemente. A Laura Boldrini rivolgersi «con un deciso il Signor Presidente invece di un formalistico e puntiglioso la Presidente o un generico e anodino Presidente». Meglio chiedere a una ragazza «ti vedi con qualcuno?» piuttosto che «hai un ragazzo?», perché la seconda domanda ne darebbe per scontata l'eterosessualità, mentre magari è lesbica.

Infine, si può dare del «frocio» solo a qualcuno che non è gay, altrimenti è offensivo, malgrado i gay tra di loro si chiamino tranquillamente froci (tutti i miei amici gay lo fanno, e io stesso, perché mi piace più sentirmi più frocio che etero, per vezzo; ma frocio, o mezzo frocio, non gay). Tra l'altro, a proposito di parole, cosa poco conosciuta da froci e non froci, è che durante il sacco di Roma, nel 1527, i lanzichenecchi non solo misero a ferro e fuoco la città, ma violentarono sessualmente le femmine e perfino i maschi, a tal punto da essere definiti «Feroci» (dai maschi violentati), e nel tempo, per contrazione, la parola divenne «Froci».

Insomma, scavando nell'etimologia, se non sei frocio sei solo una femminuccia.

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