Cultura e Spettacoli

«Il mio piccolo profugo vi spiegherà il dramma dei veri naufraghi»

Al centro della storia il tema dell'affido. «La Morante è una matrimonialista atipica, lavora per unire...»

Un conto sono i numeri. Un altro l'essere umano. «Se tu senti parlare di cento, duecento, quattrocento migranti affogati nel Mediterraneo - calcola Pupi Avati - registri il fatto senza più dargli ormai il giusto peso. Ma se senti la storia che c'è dietro uno solo di quei numeri (e se quel numero ha gli occhi di un bambino) allora l'intero peso del dramma collettivo ti grava sulla coscienza». Ecco perché Con il sole negli occhi , il film tv del regista bolognese (lunedì su Raiuno), in cui una donna sola e senza figli (Laura Morante) prende in affido un profugo siriano di nove anni fino al giorno in cui potrà ricongiungersi coi suoi fratellini, racconta il dramma dell'immigrazione (ma anche il riscatto dell'affido) senza calcoli. Semplicemente con umanità.

Avati, perché raccontare un dramma di queste proporzioni attraverso la vicenda di un bambino?

«Se tu getti un pallone in mezzo a un campo in cui si trovano bambini americani, indiani, polacchi o coreani, subito li vedrai riunirsi per giocare assieme. Anche se non si capiscono fra loro. Questo con gli adulti non succede. Il bambino è l'immediatezza del contatto. E a me serviva un tramite diretto per raccontare una tragedia che è spesso mascherata dalla macabra, quotidiana, anonima ripetitività dei numeri».

Eppure ci sono modi diversi per leggere un tema scottante e controverso come quello dell'immigrazione.

«Noi occidentali abbiamo depredato quelle terre per generazioni. E ora che ci siamo alzati da tavola dobbiamo passare alla cassa. Non possiamo tagliare la corda dalla finestra della toilette: ora c'è da pagare un conto. Salato. Però è anche vero che sul tema la politica è irresponsabile e del tutto inefficiente. Nessun grande della Terra avvia un progetto di aiuti alle nazioni da cui queste persone fuggono. Un programma serio, non solo di facciata. Arrivano qui per salvarsi la pelle, non per andare da McDonald's: è nostro dovere aiutarli. Ma il problema non avrà mai soluzione, se non viene risolto a monte».

Altro tema delicato del suo film-tv è quello dell'affido.

«Ci tengo moltissimo. “Tutti sanno qual è la cosa giusta da fare - dice il personaggio della Morante - ma nessuno la fa”. È la voce della coscienza, che ci avverte quando il nostro amore maschera l'egoismo. Inizialmente la protagonista riversa amore sul bambino soprattutto per appagare un senso di maternità irrisolto. Ma poi, quando accetta di prenderlo in affido, consapevole che un giorno dovrà rinunciare a lui, e soprattutto quando decide di separarsene, è allora che compie un vero gesto d'amore».

Non è un caso che il personaggio di Laura Morante faccia l'avvocato matrimonialista...

«Rivela le mie perplessità verso questa categoria professionale, che impegna tutta la propria perizia per aiutare le coppie a sfasciarsi, anche quando non ce ne sarebbe l'urgenza. E invece, una volta tanto, ecco una matrimonialista che lavora per unire, per ricongiungere, piuttosto che per dividere o allontanare».

Come sempre nei suoi film, anche i più lievi, i temi si rivelano, invece, scottanti.

«Un film come Con il sole negli occhi al cinema sarebbe stato impossibile realizzarlo. Il nostro cinema, salvo rarissime eccezioni, è di puro intrattenimento. E più si allontana dalla realtà, maggiori possibilità ha di successo. Ci voleva la Rai, bisogna riconoscerlo, per affidarmi un simile tuffo nella realtà vera».

Eppure la Rai, che non ha esitato a far slittare la fiction di Beppe Fiorello pur di non metterla contro L'isola dei famosi , lunedì non si perita di sacrificargli il suo film.

«È la maledizione degli ascolti. Cioè, ancora una volta, dei numeri. Spero solo che, il giorno dopo, non escano sui giornali titoli del tipo “I naufraghi vip più forti dei naufraghi veri”, o “Avati affondato al largo dell'isola delle celebrità”. Non priverebbero di senso il film che abbiamo fatto.

Ma certo sarebbe un po' triste».

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