Cultura e Spettacoli

"Noi inglesi un tempo avevamo un impero, ora soltanto spazzatura"

Lo scrittore del Norfolk chiude la trilogia bestseller Condanna la Brexit ma crede nella tradizione

"Noi inglesi un tempo avevamo un impero, ora soltanto spazzatura"

«Sono triste. Non riconosco il mio paese. È l'errore più stupido che potessimo fare. Gli sciocchi che hanno votato per uscire hanno in qualche modo distrutto la nazione. Ora siamo divisi e c'è una mancanza cronica di comunicazione tra le due parti. I giovani non volevano uscire e i vecchi, che moriranno presto, gli hanno lasciato in eredità questo disastro. Ma ce la faranno: io amo l'Inghilterra e amo la Gran Bretagna come parte del mondo». È fuori di sé per la Brexit, Edward Carey, e anche se l'ultraquarantenne scrittore, drammaturgo e disegnatore del Norfolk si è sempre espresso prima di tutto con un tratto di matita, stavolta non ha un disegno per rappresentare la propria amarezza. Proprio lui, che agli inglesi ha regalato uno scorcio di passato attraverso una trilogia che li rappresenta fin nei dettagli della vita quotidiana. Una trilogia di stampo vittoriano, eppure così contemporanea. Amata e venduta in tutto il mondo.

Perché dentro le case vittoriane disegnate dall'inglese Carey - che però ha scelto Austin, Texas, per vivere insieme a moglie e figli e insegnare scrittura creativa è nata la storia di una intera dinastia. Quella degli Iremonger, di cui Bompiani ha appena pubblicato il terzo e ultimo volume, Lombra (pagg. 486, euro 20; trad. di Sergio Claudio Perroni): l'eroe e padrone di casa è un adolescente, Clod Iremonger, discendente di una famiglia di ufficiali giudiziari. Il maniero degli Iremonger è frutto di accumulazione compulsiva di «oggetti natali», cui ogni abitante è legato fin nel profondo. Tanto che Clod sente i «sussurri degli oggetti». E il mondo in cui vivono gli Iremonger è fatto in sostanza di rifiuti, spazzatura che affoga l'intera Londra. Città cui è appunto dedicato il capitolo conclusivo della saga.

Ma gli Iremonger assomigliano a qualcuno che potremmo riconoscere, magari agli stessi inglesi?

«Sono una famiglia inventata, una dinastia vecchio stampo, crudele e del tutto autoreferenziale. Al limite dentro ci potrebbe stare un piccolo Donald Trump. Mentre ne scrivevo pensavo sicuramente alle classi sociali in Inghilterra, ma gli Iremonger sono aristocratici del pattume, lord dello sporco, gran mogol della spazzatura. Il resto della società li emargina ma loro prendono il ruolo molto sul serio. Mentre li creavo il retropensiero andava a narrazioni come Downton Abbey. Le caste sono molto presenti in Inghilterra: l'ex primo ministro e il prossimo, supponiamo sia Boris Johnson, andavano alle stesse scuole privilegiate, come se questo fosse l'unico modo di diventare leader da noi. Sembra che abbiamo fatto grandi passi indietro».

La spazzatura è il nuovo lusso?

«Nella mia trilogia, le montagne di cose che gettiamo si vendicano. Diventano disobbedienti e hanno una vita propria. Ho ambientato la storia all'apice dell'Impero Britannico, l'epoca vittoriana. Allora, la forza dell'Impero schiacciava tutto e tutti, il popolo era solo l'ingranaggio di una macchina inarrestabile. Oggi, i concetti di Gran Bretagna, britannicità, Regno Unito potrebbero diventare in breve solo un retaggio del passato. Ero così sollevato quando la Scozia votò per rimanere in UK, ma ora se ne andranno e come si può dargli torto? Se fossi scozzese, coglierei l'occasione al volo».

La Londra di Lombra è disturbante: che cosa contiene della megacity attuale?

«Ho vissuto fuori dall'Inghilterra per molti anni, ma la penso sempre come casa e mi manca enormemente. Tuttavia, anche se vivere lontano rende più facile scriverne, non la conosco più così bene come invece la Londra di Dickens, che leggevo da bambino, come ogni inglese. Le strade di Lombra esistono anche nella Londra di oggi, potremmo seguire i personaggi su una mappa contemporanea. Ma nel mio romanzo la città ha perso la luce del giorno per via della vendetta di Aunt Iremonger, che sputa oscurità dai suoi tre polmoni».

Questa ossessione per gli oggetti da dove nasce? Ho letto che ne colleziona di ogni genere.

«Vivo in America. In Texas. È un luogo alieno per me. Lo sarà sempre. È bello, mi rinvigorisce. Ma mi mancano le cose di casa e ho con me ogni genere di oggetti inglesi. Essere circondati dalle proprie cose dà conforto, è un'armatura contro il mondo. Viviamo in una casa piccola e l'abbiamo completamente riempita. Molti oggetti sono davvero parte della famiglia. Poco tempo fa è morta una mia prozia, aveva 109 anni, e mi hanno recapitato una grande credenza-piattaia alla gallese, di quercia, che ora occupa un muro intero di casa nostra. All'inizio il mobile sembrava sentirsi a disagio, ma adesso andiamo d'accordo».

Castelli, famiglie vittoriane, una Londra gotica: quanto contano queste radici per gli inglesi di oggi?

«Sono importanti, eccome. Sono identità, tradizione, eredità, cultura, parte di ciò che siamo. Ma non avremo mai più un Impero ed è importante essere pronti per il futuro, oltre che conoscere il proprio passato. Non saremo mai più chi eravamo, anche se lo vorremmo. Dobbiamo cambiare e il cambiamento deve essere visto come positivo. Dobbiamo aprire i confini, non possiamo voltare le spalle al mondo o ce ne pentiremo. Tuttavia dobbiamo anche continuare a raccontare le storie del nostro passato: mio figlio di nove anni è ossessionato dalla storia britannica, ne parla ogni minuto. Spero rimanga così per sempre».

La sua trilogia è «british» allo stato puro, in effetti. Ma alla fine i valori di quest'isola quali sono, oggi?

«Non voglio vedere il mio Paese come un'isola staccata da tutto. Deve essere un luogo eccitante, innovativo, colmo di speranza, non un rifugio per bigotti solitari. Sono così dispiaciuto che abbiamo preso la strada sbagliata, insulare. Spero che non duri, c'è troppo da perdere: siamo sempre stati un angolo di Europa e una parte del mondo. Sfortuna vuole che oggi si parli di separazione del Texas dal resto degli Stati Uniti. Texit, la chiamano.

Se dovesse accadere, vuol dire che lascerò il Texas».

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