Cultura e Spettacoli

Orecchio trasforma la Storia in romanzo

Andrea Caterini

Chi già conosce i due libri precedenti di Davide Orecchio Città distrutte (Gaffi, 2012) e Stati di grazia (Il Saggiatore, 2014) non si stupirà di ritrovare i suoi motivi ricorrenti anche nel terzo libro, Mio padre la rivoluzione (minimun fax, pag. 320, euro 18). Potremmo anche pensare, nonostante non venga esplicitato da nessuna parte, che questo ultimo sia la conclusione di una trilogia. A me piace credere che sia così per due ragioni in particolare. La prima riguarda appunto i motivi. In tutti e tre i libri la Storia (dalla seconda guerra mondiale alla guerra civile spagnola fino alla rivoluzione d'ottobre) ha un valore assoluto, pure se in forme e in modalità differenti. Inoltre, i personaggi che popolano le sue pagine, sono schiacciati o umiliati da quella Storia di cui si diceva. Altro elemento non irrilevante è la composizione. Orecchio costruisce dei romanzi (certo atipici) attraverso il concatenarsi di racconti, di vicende, di biografie che potremmo leggere anche separatamente.

Non c'è vita di cui l'autore scriva che non abbia un apparato bibliografico sterminato. Ma l'originalità va trovata nell'utilizzo di questi materiali. Infatti Orecchio le sue fonti le reinventa, le tradisce pur non abbandonandole mai. Come se la Storia, da sola, non fosse sufficiente a svelare l'umano attraversamento delle nostre vite nel mondo, non bastasse a restituire il senso. La seconda ragione per la quale Mio padre la rivoluzione è la fine di una trilogia ha a che fare con l'esaurimento di quei motivi che, se ripetuti ancora una volta, potrebbero farci percepire un affievolimento dell'originalità, anche stilistica. Ma riguarda anche un fattore puramente contenutistico. Infatti, la Storia, qui, essendo come altrove il grande demone con cui fare i conti, sembra qualcosa che, per la sua immutabilità, soffoca, opprime. Dico che è divenuta un fantasma, o, più precisamente, una mummia come mummificata è la salma di Lenin evocata in uno dei racconti.

Ed è in quella mummia il senso della fine.

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