Cultura e Spettacoli

"Porto alla Scala la sensualità senza colpa della ninfa Calisto"

La soprano ci racconta tutti i segreti dell'opera che Francesco Cavalli scrisse nel 1651

"Porto alla Scala la sensualità senza colpa della ninfa Calisto"

Dal 30 ottobre al Teatro alla Scala va in scena La Calisto di Francesco Cavalli, opera del 1651 mai eseguita alla Scala e raramente nel mondo. Si narrano e cantano le vicende di Giove che seduce Calisto, ninfa di Diana votata alla castità, la fanciulla perde la verginità e per punizione verrà trasformata in orsa. Sulla carta, quest'opera è un azzardo, lontana dalla comfort zone assicurata da opere come Traviata, Aida, Tosca, Barbiere di Siviglia.

Affidiamo il compito di convincerci a riscoprire questo manufatto antico a chi vestirà i panni di Calisto: l'israeliana Chen Reiss, soprano di bella carriera, attiva nei teatri di punta, amante delle riscoperte: il prossimo cd sarà dedicato a pagine della sorella di Mendelssohn, Fanny.

A Lei il compito di convincere lo spettatore ad acquistare il biglietto per lo spettacolo.

«La Calisto fa riflettere sulla condizione umana, sul cattivo esercizio del potere e sul potere delle passioni. Si alza il sipario e appare la terra che brucia, non è forse un problema attuale? Poi c'è il tema dell'inganno perché è con questo che Giove seduce Calisto».

E considerato che sarà Calisto a subire la punizione, si aggiunge il tema dell'ingiustizia.

«Vero. Io diventerò un'orsa, mi vedrete così in scena. E tra l'altro è Giunone, la moglie tradita di Giove, a volerlo, per dire che infierisce su una fanciulla anziché sul marito adultero. Una catena di ingiustizie, però l'opera chiude con il messaggio che l'anima di Calisto vivrà per sempre grazie alla sua purezza, perché ciò che conta è l'anima non il corpo».

Anche se La Calisto non è opera propriamente celestiale, la componente erotica è molto presente, praticamente un soggetto chiave.

«Vedremo tanti amplessi, il sesso non manca di certo, però il regista David McVicar traduce il tutto con grande gusto. C'è molta passione e zero volgarità».

Il suo italiano è impeccabile. Perché?

«Sono innamorata del vostro Paese, e quando ami un Paese devi conoscerne la lingua. Guardi - e mostra la pila di libri, compresa una grammatica - continuo a studiare. L'anno scorso ho profittato delle recite all'Opera di Roma per godermi la città senza turisti. Ai Musei Vaticani ero praticamente da sola: esperienza indimenticabile».

Tra l'altro Lei ha cantato per Papa Francesco...

«E devo ringraziare il sovrintendente della Scala, e all'epoca della Staatsoper di Vienna, Dominique Meyer. Nel 2012 avevo partecipato a un concerto dei Wiener in Vaticano, dopo due anni ricevetti una telefonata dal Vaticano, mi si chiedeva di cantare per la Messa di Natale. Prima dell'esecuzione incontrai il Papa. Che momento».

Lei è di Tel Aviv, una città di grande forza e coraggio.

«Ora vivo a Londra con mio marito e le due figlie. Però, il mio cuore continua a battere per Israele».

Da quante generazioni la sua famiglia vive in Israele?

«I miei nonni materni fuggirono dall'Ungheria nel 1939, quelli materni vengono da Turchia e Siria. Si ritrovarono in un Paese che era una distesa di deserto, patirono la fame, i familiari che non emigrarono vennero uccisi. Eppure, nonostante queste durezze, li ricordo con il sorriso sulle labbra».

E comunque, la vita non è mai semplice in Israele.

«Si parte dal lungo servizio militare anche per noi donne»

Sa imbracciare le armi?

«So come si usano, ma per fortuna non mi sono mai ritrovata in situazioni di guerra anche perché dopo pochi mesi di servizio sono diventata la cantante della nostra orchestra militare. Comunque ho sperimentato la guerra da civile. Nel 1990, durante il conflitto nel Golfo, per due mesi dormimmo nel bunker, con maschere antigas. Nel 2014, stavo nuotando con mia figlia quando sentii le sirene quindi corsi fuori dal mare con la bimba sottobraccio. Viaggio nel mondo ma il mio cuore è lì anche se non sono sempre d'accordo con le azioni dei nostri politici così come mi spiace vedere la conflittualità fra ebrei ortodossi e quelli come me che sono osservanti ma non aderiscono a tutte le pratiche religiose. Da noi si dice: Dieci Israeliani, venti opinioni».

Il letterato israeliano del cuore?

«Non c'è dubbio.

Amos Oz e in particolare il suo romanzo Una storia di amore e di tenebra».

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