Cultura e Spettacoli

"La tv è un grande pulpito ma la vanità è tentatrice"

Il sacerdote è diventato ormai un volto noto: "È giusto testimoniare la fede a tante persone"

"La tv è un grande pulpito ma la vanità è tentatrice"

Chissà che ne avrebbe detto Padre Mariano. Ne sono passati, di giubilei televisivi, dai tempi dell'umile cappuccino che, dalla tv in bianco e nero, rabboniva coi suoi semplici "pace e bene". Da allora frati cantautori, preti detective e suore canterine scorazzano per l'etere, sollevando simpatie (e perplessità) in eguale, crescente, misura. C'è chi li loda e chi ne diffida. Per i primi sono paladini di una nuova forma di evangelizzazione. Per i secondi vittime di un esibizionismo - forse - inconsapevole. Talvolta inopportuno. Il più noto oggi è forse don Davide Banzato: 34 anni, inviato del programma Sulla Via di Damasco, ospite costante a Uno Mattina, Pomeriggio Cinque, Vita in diretta, Matrix, presenza fissa a La strada dei miracoli. E il cui bell'aspetto (inutile negarlo) così poco corrisponde alla più ovvia iconografia sacerdotale.

Allora, don Davide: i preti in tv. Una nuova opportunità evangelica? O una nuova forma di vanità?
"Nell'enciclica Evangelii Gaudium Papa Francesco ricorda che nessuno è esente dalle tentazioni del mondo in cui vive. Solo che noi siamo chiamati ad essere nel mondo, ma non del mondo. La difficoltà sta tutta qui".

Perché accetta di andare in tv?
"È solo un altro pulpito da cui testimoniare Dio. E farlo in prima serata, da un canale generalista, è un'occasione grande. Spero di gettare dei semi che poi, forse, se Dio vorrà, germoglieranno".

Le sue intenzioni sono oneste. Ma non teme d'essere frainteso?
"Ho un Maestro che è stato frainteso. Cerco di essere prudente, in obbedienza ai miei superiori e scegliendo dove andare e dove no. Ma ho l'esempio di Gesù. Lui andava da chiunque. E certo lo criticavamo molto, per questo. In realtà nel novanta per cento di casi dico no, ma solo perché ho poco tempo".

Ha mai letto negli occhi del presentatore di turno l'intenzione di strumentalizzarla?
"Pongo una condizione: devo poter dire quello che penso. In fondo tutto dipende da come ti poni. Se rispetti gli altri finisci per fare amicizia perfino con chi la pensa in modo diametralmente opposto al tuo".

E il rischio della vanità? La tv ne produce per antonomasia.
"Ecco: questo sì che è un rischio. Sottovalutalo, e ci sei già dentro. Ma in questo momento a me, lo confesso, costa più andare in tv che starmene tranquillo a casa. La tv ti espone. Ti carica di responsabilità".

Che rapporto aveva lei con la tv, prima di diventarne un personaggio?
"Per dieci anni non l'ho neppure avuta. Mica per snobismo: è che nella comunità Nuovi Orizzonti di Chiara Amirante, dove vivo, l'abbiamo da poco. E ci vediamo solo tg e film. Così, da quando in tv ci vado, faccio gaffes clamorose chiedendo lei chi è? a persone strafamose. Ma questo mi ha favorito. Grazie alla mia ignoranza incontro la persona; non il personaggio".

A proposito di persone e personaggi: che ne pensa di suor Cristina?
"Il suo ragionamento è stato: Ho un talento. Ve lo dono. Un ragionamento che ci sta. Già nel '63 il Concilio Vaticano II raccomandava di usare i media per evangelizzare. La tv non è un male in sé. L'importante è usarla bene. Ed evitare che sia lei, ad usare noi".

La strada dei Miracoli (dal 12 gennaio la nuova serie) ha un successo crescente. Perché, secondo lei?
"Intercetta un bisogno di fede che c'è, ed è profondissimo, reale. Certo: non è un programma cattolico. Siamo nella tv generalista, con le sue regole. Come il contraddittorio, che spettacolarizza ma a volte confina il problema in superficie. Esempio: una volta abbiamo perso quaranta minuti sulle irragionevoli ragioni di chi non vorrebbe il presepio a scuola. Però, almeno, abbiamo potuto dare qualche risposta. Insomma: il gioco vale sempre la candela".

E oggi che è popolare, essere riconosciuto per strada la imbarazza? È aumentata la gente che la segue?
"Sono aumentate le confessioni. E le benedizioni. E se qualcuno mi chiede un segno, gli regalo il segno della croce.

Non un autografo".

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