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Bum Bum Innocenti. Un argento fatto in casa. L'emozione è da dieci

L'azzurro si arrende in finale ad Aldeehani tra il meteo e le lacrime per l'impresa fatta

Bum Bum Innocenti. Un argento fatto in casa. L'emozione è da dieci

RIO DE JANEIRO - Non ha pianto per l'oro perduto, ma prima, prima dello spareggio, dopo la finale a sei, per l'argento vinto, sicuro. Marco Innocenti scarica tutta la gioia in quei minuti di pausa. Quasi non ci crede. Il double trap è una specialità bastarda, l'ultima nata nel tiro a volo. Due colpi e due piattelli. Bum bum, track track. Quei due oggetti più o meno identificati escono simultaneamente, a traiettoria fissa e divergenti fra loro, lanciati da due macchine nascoste in una fossa a quindici metri dal tiratore. Bum bum, track. E il doppio zero è il bacio della morte.

Innocenti è un veterano. Era già a Sidney e Atene. Non è arrivato però qui da favorito. Il suo capolavoro è la finale a sei. Parte male, parte piano. Sembra fuori, ma a questo punto non ha nulla da perdere e allora spara e fa rumore. Scala, risale la classifica, sesto, quarto, gli altri sbagliano, lui punta e piazza. È secondo.

Ed è qui che il suo pianto è la storia di una vita. Marco può giocarsi la finale a due, lo spareggio, con Fehayd Aldeehani. L'avversario è del Kuwait, ma qui a Rio non ha bandiera. Il Kuwait è stato squalificato dal Cio per gravi ingerenze del governo nel comitato olimpico nazionale. Aldeehani ufficialmente gareggia quindi per il Cio, di fatto si sente in tutto e per tutto kuwaitiano. Quando si prende l'oro pretende di sentire l'inno. Chiaramente non si può, ma lui insiste, sbraita, fa casino. Solo alla fine si rassegna. Risultato: molto più incavolato lui di Innocenti. È il decimo argento nella storia olimpica del tiro italiano. "Non ho mai dato nulla per scontato. Sono uno da un passo alla volta e credo nel lavoro, negli allenamenti, ma penso anche che per realizzare i propri sogni serva anche un pizzico di fortuna. La bravura è prenderla al volo". Due colpi. Bum bum.

Gli occhi di Marco brillano. È di Montemurlo, una frazione di Prato. Spara da quando ha 10 anni e il 16 agosto ne compie trentotto. Con la sua famiglia gestisce un'armeria. I fucili li conosce quasi come nessuno. È un collezionista, un meccanico, un esteta, un tecnico. Può raccontarti per ore la storia e le particolarità di ogni modello. Il suo, con cui si allena, è il DT11 della Beretta. "Mi piace. È veloce e preciso, poco rinculo, le rosate eccezionali, affidabilità in qualsiasi condizione. E poi ci puoi adattare qualsiasi impugnatura, anche la più strana".

Marco che sa da dove viene e che ringrazia. "Se sono qui lo devo a mia sorella Nadia. È lei che mi ha ispirato. Era già tiratrice della nazionale e ogni pedana che facevamo insieme era una sfida all'ultimo sangue. Ricordo una volta che facemmo uno spareggio all'americana e dopo 15 coppiole di spareggio senza sbagliare decidemmo di firmare l'armistizio perché nessuno di noi due voleva perdere".

Forse però qui a Rio Marco si è accontentato. Aldeehani non ha sbagliato nulla. Sicuro di rabbia e di orgoglio, Innocenti è scarico. Sente il vento, la stanchezza della rimonta, non c'è più cattiveria e neppure concentrazione. Non spara male, spara stanco. Finisce in fretta. Due piattelli, due colpi in canna, Marco spara. Bum bum. Flop Flop. Non importa.

È comunque argento.

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