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"Candidatura interrotta" I Giochi di Malagò non sono ancora finiti

Non è un ritiro. Il n°1 Coni: «A voi capire perché» Poi fa sponda su Milano e spera che Trump...

"Candidatura interrotta" I Giochi di Malagò  non sono ancora finiti

Ufficialmente la partita olimpica si è chiusa ieri con la «resa» di un commosso Giovanni Malagò: «È il giorno più triste della mia presidenza, il no della Raggi è stato demagogia pura, il mondo dello sport sosteneva unanimamente il progetto, ne usciamo da eroi». Ma siccome le parole hanno un significato, il termine usato dal numero uno del Coni («interrompere» e non «ritirare» la candidatura di Roma ai Giochi 2024) è come socchiudere la porta e non sbatterla. «Noi abbiamo fatto i compiti, compreso l'ultimo (la presentazione del secondo dossier il 7 ottobre, ndr), potevamo andare avanti. Ho scritto la lettera al Cio con la quale interrompiamo il percorso, lascio a voi l'interpretazione del termine...», così Malagò.

Una lettera che vale più - dal punto di vista non solo formale - di quella spedita dalla Raggi a Thomas Bach nel quale si esplicitava il no ai Giochi. E che di fatto lascia aperto uno scenario al momento inverosimile, ma che potrebbe non esserlo fra qualche tempo in caso di ribaltoni politici in Campidoglio. «Piani alternativi c'erano, ma non ci avrebbero votato, abbiamo perso credibilità...», ha detto ancora il presidente del Coni, svelando anche i nomi che aveva in testa per la futura governance: «Nerio Alessandri, uomo molto accreditato presso il Cio, l'architetto Renzo Piano e il generale Enrico Cataldi, procuratore generale dello sport (e contattato di recente dal Campidoglio, ndr): non sono riuscito a parlarne né con il sindaco né con Beppe Grillo che pure avevo cercato...».

Per ora, dunque, la candidatura arresta il suo percorso con la chiusura del Comitato organizzatore. Malagò cita il precedente di Vancouver che nel 1974 si ritirò dall'aggiudicazione dei Giochi invernali 1980, pagando un prezzo altissimo (li ebbe solo 30 anni dopo). La speranza - remota - è di poter riavviare tale percorso, come si augura anche il numero uno del Cio Bach che rischia di rimanere a corto di candidature (un eventuale successo di Donald Trump alle elezioni americane toglierebbe di scena anche Los Angeles, ndr). Intanto Malagò, per provare a riacquistare credibilità nel mondo dello sport mondiale, ha rilanciato con un'altra candidatura, quella di Milano per ospitare la sessione del Cio del 2019 (evento che in Italia manca dal 1966): «Bisogna ricucire la frattura tra il Cio e l'Italia che non è solo Roma e quest'amministrazione che con cinque righe ha liquidato la questione».

I suoi interlocutori («più credibili della Raggi, con loro si può voltare pagina e in caso di successo sarà il primo passo per ricominciare a pensare a un'altra candidatura», così Malagò) sono diventati Maroni, governatore lombardo e il sindaco meneghino Sala. Che saranno presenti (loro sì, non la Raggi) a Lima il 13 settembre 2017, giorno della scelta della sede dell'evento contestualmente a quella dei Giochi. «Smettiamo di occuparci di Roma se non per i nostri asset (il centro di preparazione olimpica e il parco del Foro Italico). Il Coni deve tornare a occuparsi del resto del Paese, nessun ricorso al Tar», ha tuonato Malagò. Che parla delle spese per gli Internazionali di tennis (copertura entro il 2019) che rischiano di dover emigrare da Roma a Milano.

Il 7 dicembre il Cio analizzerà i dossier presentati a ottobre con la «terza gamba» mancante al tavolino di Roma (quella del Comune) tanto per usare la metafora di Malagò. Poi la data chiave, quella del 3 febbraio 2017 quando ogni candidata dovrà presentare il progetto di Legacy (i benefici per la città) e le garanzie economiche. Ora che si è gettata la spugna, i circoletti rossi sul calendario restano, non si sa mai..

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