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"Così ho fatto entrare Italia-Germania nel mito"

Il «Volkswagen» del Milan compie 80 anni e rivive la sfida del Messico: «Pareggiai al 90' e iniziò la leggenda»

"Così ho fatto entrare Italia-Germania nel mito"

Ha il nome di un generalissimo della Renania, un soprannome, Volskwagen, pieno di certezze e, un tempo, i capelli così biondi da sembrare bianchi. Karl Carletto Schnellinger è sempre stato uno di noi anche quando giocava con gli altri. Aveva scelto di stare dietro perché è da lì che si comandano gli eserciti, ma quando si avventurò oltre le linee nemiche, all'Azteca, giugno 1970, Italia-Germania 4-3, inventò con una spaccata all'ultimo minuto la partita del secolo. Una vita nel Milan, dove ha vinto tutto, ma anche Mantova e Roma, quattro mondiali con la Germania. Compie 80 anni. E li porta da kaiser.

È vero che da ragazzo voleva fare il chirurgo o il pilota di aerei?

«Certo. Studiavo in un ginnasio dove tutti i professori odiavano il calcio. Quando mi chiamavano alla lavagna e non sapevo rispondere mi dicevano: vedi? É il calcio che ti rovina...»

Addirittura...

«Alla maturità ho dovuto fare una scelta. Mi pare tardi per recriminare».

Perché, è pentito?

«Ho giocato a pallone, vinto tanto, visto il mondo. Mi hanno voluto bene e rispettato ovunque. Va bene così».

Chi era il suo idolo?

«Mi piaceva Fritz Walter: era il capitano della Germania che vinse mondiale del 1954».

L'avversario più forte?

«Best, Cruijff, Pelè. Ma il migliore è stato Di Stefano. Era nel Duemila negli anni '50».

Italia-Germania 4-3 è la sua partita più bella?

«No, ma è una partita eterna. Io sarò per sempre quello che l'ha creata. È un dono di Dio».

È vero che era nell'area dell'Italia per guadagnare prima gli spogliatoi?

«Avevo visto sull'orologio dello stadio che il tempo era scaduto e mi sono detto: che cavolo ci stai a fare in difesa? Volevo evitare il casino di fine partita. Invece mi sono trovato tra i piedi la palla di Grabowski».

Immagino i commenti dei suoi compagni del Milan...

«Mi sono trovato seppellito dagli abbracci dei miei. Quando mi sono rialzato non ho avuto il coraggio di guardare negli occhi Rosato. Ma gli altri...»

Gli altri?

«Mi mandarono a fanculo».

Anche Rivera?

«Mi disse: ma sei matto? Alla fine ho voluto la sua maglia e lui la mia. Sono andato anche negli spogliatoi a salutarli. Sono stato l'unico».

E ci credo...

«Che dovevo fare? Ho segnato per il mio Paese, mi sono fatto pure uno strappetto in quell'azione. Mi avete perdonato solo perché avete vinto».

Le è rimasto sullo stomaco quel 4-3?

«Si vince e si perde. Semmai se ogni persona che ha visto quel gol mi versasse un centesimo sarei l'uomo più ricco del mondo».

Non è vero però che ha fatto solo un gol nella vita...

«Ne ho fatto uno all'Inter, uno alla Juventus. Ma allora per noi terzini non era possibile passare la metà campo».

È vero che sennò Rocco le diceva: «Te lego, tedesco, te lego...»

«Peggio. Se andavo in attacco mi tagliava le palle...»

Però...

«Però Rocco è stato come un padre per me. Sul piano umano nessuno è stato come lui».

Peggio la Fatal Verona o il mondiale perso con gli inglesi per un gol fantasma?

«Peggio l'Inghilterra. A Verona io non c'ero...»

Ah, no?

«Sennò mica finiva così...»

Le piace il calcio di oggi?

«Relativamente. Troppi soldi. E non mi piacciono i simulatori. Ai miei tempi nessuno si buttava per terra perché aveva paura di fare brutta figura».

Le dispiace qualcos'altro?

«I tatuaggi. Come fanno ad andare in giro conciati così?».

Quanto varrebbe oggi Schnellinger?

«Lo dica lei...»

Un'enormità...

«Ma oggi avrei un procuratore. Non esiste nessuno dei calciatori di adesso che abbia il coraggio come avevamo noi di andare dal presidente a chiedere un aumento. Anzi...»

Anzi?

«Quando mi proposero di andare al Milan, la Roma mi offrì molto di più, ma accettai di prendere di meno pur di andare al Milan».

Come si ferma la Juve che vince sempre?

«Con il tempo. Tutto finisce, non può vincere tutta la vita. Certo ora sembra imbattibile».

È sempre tifoso del Milan?

«Tifoso e innamorato. Soffro se non vince anche se da tedesco non lo faccio vedere».

Gattuso le piace?

«Un bravo ragazzo, pulito. Spero che sappia vincere la pressione, spero che continui a lungo sulla panchina. E che ci porti in Champions».

Agli ultimi mondiali l'Italia non si è qualificata e la Germania non ha passato il primo turno. Che è successo?

«È un momento della vita. Ma torneremo grandi: noi tedeschi e noi italiani».

In cosa è diventato italiano e in cosa è rimasto tedesco?

«Ho un cuore italiano e un cuore tedesco. Ma io mi sento europeo: l'Italia e la Germania sono l'Europa».

Sa che vogliono demolire San Siro?

«Sono i tempi che cambiano. Ma San Siro è il cuore di Milano. Come si fa a strapparsi il cuore?».

L'età insegna qualcosa o si resta quello che si è?

«Qualcosa cambia, qualcosa resta. L'importante è vivere il proprio tempo. Alla mia età mi è rimasto solo un cruccio...».

Davvero? Mi dica...

«Ho un nipote interista».

E le dispiace davvero?

«Ma no, ognuno è libero di vivere come crede. Però...»

Però?

«È sempre in tempo per cambiare idea...

».

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