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Crack, il tempo si ferma. E l'urlo del Fenomeno commuove il pallone

Il 12 aprile di 20 anni fa l'infortunio di Ronaldo Il bivio della carriera di uno dei più grandi

Crack, il tempo si ferma. E l'urlo del Fenomeno commuove il pallone

È il giorno più bello della mia vita!

La Madonnina stanza 708, 12,30 di giovedì 6 aprile 2000 con due settimane di anticipo è nato Ronald Dominguez Nazario Da Lima, 2 chili e 900 grammi, comunitario e milanesissimo: non so se farà il centravanti, di sicuro sarà interista.

Spazio please, passa il Fenomeno, 52 miliardi e spazzola al Barcellona, è qui dal 25 luglio del 1997, ore 14 e 45, San Babila via Durini, esce da libri e tv color: obrigado, sì, sono vero, un vero gioiello. La firma più lunga del mondo è affacciata al balcone, pare grassottello, Italia ti amo: voglio fare la storia di questa squadra. Chi volete, Barabba o Ronaldinho? Ronaldinho gridano tutti e saltano e si abbracciano, quando sparisce nell'Espace blu lascia un'affascinante puzza di calcio tutt'intorno. Calato dal cielo, 900 milioni al mese fra ingaggio e premi, la Nike gliene versa tre e mezzo, uno la Parmalat, testimonial Pirelli, altri tre, uno dalla Brahma, Fenomeno che fa la differenza in un'Inter che non riesce a fare la differenza.

Mercoledì 12 aprile 2000, Ronald ha sei giorni, Olimpico, finale di andata di coppia Italia, notte da bombardamenti, Ronie rientra. Il 30 novembre alla Pitiè-Salpietriè, Gerard Saillant gli ha ricostruito il tendine rotuleo destro, torna ad aprile al cento per cento, assicura. Marcello Lippi lo porta in panchina. Al settimo della ripresa la Lazio va in vantaggio con un gol del Cholo, 2-1, Lippi guarda Ronaldo: scaldati. Fuori Mutu, dentro il Fenomeno, sei minuti scarsi, doppio passo, tocca due volte il pallone, finta a destra, a sinistra, carica tutto sul piede destro, va giù come un masso, ore 22 e 16 minuti, rottura del tendine rotuleo del ginocchio destro. La rotula è vistosamente uscita dalla sede, il Fenomeno si tiene il ginocchio stretto fra le mani come se volesse risistemarlo, è piegato sul fianco destro, urla, non ha su una maglia, è come se il calcio sanguinasse. Ciao Ronie? Saillant si dichiara sorpreso, il ginocchio era guarito. Sul Falcon del presidente vola a Parigi, due ore e 45 di intervento, la macchina perfetta è fragile e si è fracassata di nuovo, il mondo ha assistito al suo atterraggio e ora teme di non rivederlo. Fra la gioia e il dolore lo spazio di sei giorni, alle spalle un calvario da ansia. Al Psv nel febbraio del '96 un'escrescenza calcificante della rotula destra lo costringe a un primo intervento, fermo 8 settimane. Ai Mondiali del '98 tendinopatia bilaterale, poi nel giorno della finale è colto da un malore, Ronaldo è morto, grida Roberto Carlos, si ipotizza una crisi epilettica. A settembre infiammazione ai tendini delle ginocchia, fermo quattro settimane, rientra nel derby, segna e esce, crisi psicologica? Gioca il 25 novembre contro il Madrid poi si blocca per tre settimane, non posso giocare sempre, dice, nel 1997 fra Barcellona, Inter e Brasile 75 gare. A gennaio del '99 nuovo stop, rientra il 14 marzo, gioca un mese e una contrattura alla coscia destra lo stende. Saillant è cauto: è fragile nei tendini, lì dove risiede la sua forza esplosiva, la riabilitazione durerà otto mesi. Poi a microfoni spenti dice le cose come stanno: sta giocando al 70 per cento, non vedo margini di recupero e questo infortunio peggiora tutto. Ma non è solo una questione di tendini, Ronie è affetto da fragilità psicologica, ha paura del buio, di notte bagna il letto, gli trovano rogne anche nell'apparato digerente per carenze nell'alimentazione da bambino. Sabato 22 aprile è su una panchina davanti al 76 di via Pinerolo: ho fatto quello che i dottori si sono raccomandati, quel movimento lo avrò fatto mille volte, ero a posto fisicamente e psicologicamente, in cinque minuti ho gettato il lavoro di cinque mesi, non voglio più essere al centro del mondo. Il 22 maggio ecografia a Parigi, risonanza magnetica il 22 giugno, sta guarendo, nuova risonanza il 20 luglio, a settembre è a Biarritz da Patrick Middleton un luminare per i recuperi psicofisici, sta andando forte. Ma la gente abbassa lo sguardo, o gira la testa. Gli hanno fatto una macumba? È in riabilitazione a Teresopolis, c'è il carnevale, la sua scuola di samba Grande Rio lo vuole su un carro allegorico a lanciare fiori, è terapia riabilitativa anche questa. Felipe Scolari lo vuole per la Copa America, Moratti a San Siro, lo invitano a tornei di golf, talk show, inaugurazioni: obrigado. Ma non può moltiplicarsi. Il primo giugno amichevole contro il Sant'Angelo con l'ordine di girare a qualche metro di distanza dal convalescente, finisce 9-5, segna due reti, assist, numeri: è servita solo per la mia voglia di giocare. L'ennesimo esordio viene annunciato cento volte, fa una partita, ne salta tre. Arriva Hector Cuper, la fine, l'hombre vertical decide che Ronaldo non sia più in grado di fare la differenza. Sbaglia, Ronie al 50 per cento continua ad avere uno scatto sul breve, un allungo e un'accelerazione di quaranta metri che schiantano. A mezzogiorno del 31 agosto 2002 è da Moratti: o io o lui. Moratti sceglie lui, accompagna il Fenomeno all'Ata e lo mette sul Falcon, Ronie va a Madrid: presidente, se mi da gli stessi soldi, resto. È notte fonda, sotto braccio fino alla scaletta: vai Ronie, vai. A Madrid vince una Liga, una Supercoppa e un'Intercontinentale, con la Seleçao un mondiale, un altro Pallone d'Oro e un terzo Fifa World Player. A Milano ci torna e nel derby segna un gol all'Inter. Ma solo a tratti è il Fenomeno, resta il più forte anche se è diventato un bolide di quasi un metro e novanta che sfiora i cento chili, torna al Corinthians, 18 reti in 31 presenze, ma gira la voce che i difensori lo rispettino.

Dire che dopo quel 12 aprile 2000 sia finito tutto, proprio no, ma non si va troppo distanti, appena appena tanto così.

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