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La lezione da Superlega del Super Bowl. Ma la Champions non la impara mai

L'Nfl trasforma tutto in oro, l'Uefa non sfrutta un evento più planetario

La lezione da Superlega del Super Bowl. Ma la Champions non la impara mai

Passata a' nuttata, terminata l'edizione numero 57 del Super Bowl con la seconda vittoria dei Kansas City Chiefs in quattro anni e tre finali, nelle parti di mondo non conciliate col fuso orario americano resta la sensazione di un evento unico nella sua grandiosità ed esagerazione, quasi onirico per chi dopo aver visto la premiazione è filato a dormire per le poche ore concesse dal lavoro.

La Nfl, tirato il fiato per qualche giorno, comincerà a preparare l'edizione dell'anno prossimo, che per il luogo, Las Vegas, potrebbe battere ogni record di affluenza, originalità, volendo pure volgarità ridanciana. E naturalmente di giro di affari: valutazioni precise sempre difficili da fare, ma pare che il Super Bowl abbia fruttato circa 800 milioni di dollari alla città di Phoenix e dintorni. Una valanga di soldi portata dai tifosi delle due squadre e dai tifosi neutrali, in genere non meno di 110.000, dalla Nfl stessa e dalle decine di aziende che affittano locali e vi organizzano ricevimenti e feste memorabili, cercando di superarsi l'una con l'altra. E c'è anche l'effetto a lungo raggio: secondo lo studio di un esperto dell'Arizona State University, Anthony Evans, 31 società i cui amministratori delegati avevano assistito ad eventi sportivi a Phoenix tra il 2015 e il 2019 vi hanno poi spostato la sede, creando posti di lavoro e portando, in un arco di previsione di nove anni, circa 28 miliardi di dollari al prodotto statale lordo.

Un evento unico, quindi, o forse no, e l'Europa viene direttamente coinvolta: perché, con la sempre maggior diffusione del calcio negli Stati Uniti, certamente più ampia di quanto il football americano non si diffonda all'estero, è da qualche anno in realtà che la finale di Champions League ha assunto un'importanza planetaria paragonabile a quella del Super Bowl, ma con risvolti economici ben diversi.

L'aveva fatto notare, a ottobre del 2021, pochi mesi dopo l'opposizione generale alla Superlega, Andrea Agnelli: «le federazioni hanno in mano un marchio come la Champions League. L'audience della finale è di circa 180 milioni, contro i 140 del Super Bowl, ma quello che deve fare riflettere è che, a fronte di una supremazia sull'atto conclusivo delle due manifestazioni, oggi la Champions League fattura 2,4 miliardi euro, mentre l'NFL circa sette miliardi di dollari, circa cinque miliardi di euro (il cambio ai tempi): il doppio, a fronte di un evento conclusivo inferiore e a fronte di un bacino di utenza che è circa un decimo di quello del calcio».

Agnelli non è più presidente della Juventus ma il ragionamento fila: perché non lavorare affinché la popolarità planetaria del calcio, suggellata anche dai recenti Mondiali, non porti un giorno a fare sì che anche ad altri fusi orari, il mattino dopo la finale di Champions League, la gente si svegli pensando di avere sognato, esaltata ed esausta per l'evento appena vissuto?

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