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L'uomo che incide la storia due giorni all'anno

Roman Zoltowski dal 1979 è l'incisore dei trofei. "La mia vita ha un solo calendario: prima e dopo Wimbledon"

Roman Zoltowski dal 1979 incide i trofei di Wimbledon
Roman Zoltowski dal 1979 incide i trofei di Wimbledon

nostro inviato a Wimbledon

Il vero vincitore di Wimbledon è un uomo che è rimasto nel mistero per 35 anni e in fondo sarebbe perfetto come protagonista di un blockbuster di Hollywood. Immaginate il titolo, The engraver, e di sicuro sarebbe un successo. Roman Zoltowski in effetti ha una vita da film, ma soprattutto nella vita – ancora oggi che ha 76 anni ed è in pensione da tempo – fa l'incisore, the engraver appunto, ma non uno qualunque: l'incisore dei trofei del torneo di tennis più bello del mondo. Abita, Roman, sotto il Campo Centrale in un piccolo ufficio provvisto di televisione che lo collega al mondo esterno e lui appunto è l'unico uomo che tutti gli anni è sicuro di avere la coppa in mano (o, nel caso delle donne, il piatto) che gli viene restituita piena di baci e ditate dopo la premiazione. Lui ha il compito, dopo aver scritto sull'oro il nome del vincitore, di lucidare e ripulire prima che il tesoro venga rimesso nella bacheca dell'All England Lawn Tennis Club e alla fine dei suoi due giorni di lavoro - dopo essere stato chino su 48 gioielli tra coppe e medaglie di tutti i tornei e mentre i campioni se ne vanno con tanta gloria e una piccola replica – se ne torna a casa, lontano, riavvolto nel suo piccolo mistero: «In fondo la mia vita ha un solo calendario: prima e dopo Wimbledon».

A scoperchiare finalmente la sua storia è stato un giornalista americano, che lo ha intercettato nella sua casa di Poznan, Polonia, 1500 chilometri più lontano dal tempio del tennis. Una storia che ha ancora dei lati oscuri, un vero e proprio romanzo, perché in effetti nel villaggio più verde dello sport, Zoltowski viene difeso con fermezza. Di sicuro il fatto che abbia lavorato in una gioielleria locale viene smentita dal proprietario, che con gentilezza resta sul vago affermando che sì, «ha fatto qualche lavoro per noi ogni tanto, ha inciso qualche anello. Ma non è mai stato un nostro dipendente». E all'interno del club arriva solo la conferma che Roman «è uno molto timido». Lui intanto lavora, dopo un lungo e strano viaggio.

L'inizio è addirittura datato 1939, quando il padre viene cacciato da casa – che diventa una fattoria sociale - e mandato in Siberia dal Kgb. Non tornerà più, mentre il resto della famiglia Zoltowski si trasferisce a Gerusalemme dove resta impigliata nel conflitto tra arabi e israeliani. Nuova fuga, questa volta in Inghilterra, e qui Roman con madre e sorella finisce a Liverpool per iniziare una nuova esistenza. La guerra è finita, si comincia a lavorare, ecco l'impiego in una piccola gioielleria e la strada verso il futuro. Arriva così il 1979 ed anche se alla gioielleria Halfhide di Wimbledon Hill Road dicono di non averlo visto, da lì comincia la sua nuova avventura: due giorni sotto il campo centrale a scrivere la gloria del tennis. Sempre con la televisione accesa e il trofeo in mano. Basterebbe questo per scrivere la trama del film, se non fosse che – dopo la caduta del Muro – Roman decide di tornare a casa, riprendersi tutto quello che è suo, ricomprare insomma quella casa dove la sua incredibile storia è cominciata. Si torna a Poznan, con moglie e filgio, ma non si può lasciare Wimbledon. Ed ecco allora il calendario secondo Zoltowski: c'è un prima e dopo il torneo.

Il prima accade a un paio di giorni dalle finali: Roman sale sulla sua Mg decapottabile, quella di una volta, portando con sé gli attrezzi del mestiere e un sacchetto con le vivande. Ovvero sandwich, formaggio, patè di fegato, salse ed energy drink per restare all'erta. «In effetti è una vicenda curiosa. Un uomo di 76 anni che gira per l'Europa con un auto di oltre 50. Ma non posso fare altrimenti: i miei attrezzi del mestiere in aeroporto sono considerati delle armi...». E così ecco il perché dei 1500 chilometri con tappa a Bruges per una bevuta con gli amici e approdo sotto il campo centrale: «E per due giorni si lavora e basta: ho un assistente con me, ma le chiacchiere sono bandite. Silenzio prego». Poi c'è il dopo, il ritorno: stessa auto, stessa strada, stessa tappa, il calendario che ricomincia a correre. «E non ho nessuna intenzione di smettere: finché la salute resiste tornerò». Perché in fondo anche Roman Zoltowski, tra molti misteri, sa che la verità è una sola: «Il momento più grande è quando mi viene consegnato il trofeo toccato da così tanti campioni, è un'emozione incredibile che vale la pena di un viaggio così lungo».

E visto che succede ogni anno, alla fine l'unico vero vincitore di Wimbledon è proprio lui.

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