Qatar 2022

Il n°1 del calcio si sbaglia: ecco perché il Qatar non sarà mai la Svizzera

Popolo di fede wahabita, la più intollerante. Operai trattati come schiavi. Rapporto Usa: "Protegge chi finanzia il terrore"

Il n°1 del calcio si sbaglia: ecco perché il Qatar non sarà mai la Svizzera

«Mi sento gay, arabo, lavoratore migrante, e disabile». Facile dirlo. Soprattutto se, come Gianni Infantino presidente Fifa, vivi in Svizzera ed hai in tasca un passaporto italiano ed uno svizzero.

Vaglielo a dire a filippini, indiani, bengalesi e pakistani morti per tirar su stadi e hotel. Seimila e 500 disgraziati, si calcola, vittime della «kafala», la famigerata legge dell'emirato che costringe i lavoratori stranieri a consegnare il passaporto ai propri datori di lavoro accettando il ruolo di schiavi privi persino del diritto di tornarsene a casa.

Ma nella difesa d'ufficio del Qatar inscenata dal presidente della Fifa ci sono omissioni ben più inquietanti. La prima è il tentativo di dipingerlo come una Svizzera in erba lanciata verso un immancabile futuro di democrazia, libertà e rispetto dei diritti civili. Una banalità che trascura la fede wahabita, ovvero la versione più intollerante del credo islamico professata dalla casa regnante e dai suoi 300mila sudditi. Una fede che non prevede leggi diverse da una «sharia» applicata con un'intransigenza capace d'ispirare persino i terroristi dell'Isis. Nel 2015 proprio una fatwa emessa dalla «Guidanza Religiosa» del Qatar servì all'Isis per giustificare il terribile rogo di Muath al Kaseasbeh, un pilota giordano bruciato vivo dopo esser stato abbattuto sui cieli del Califfato. Ma i terroristi, di Al Qaida prima e dell'Isis poi, non guardavano al Qatar solo per questioni di mera ispirazione dottrinale.

«Ci sono finanziatori del terrorismo designati come tali da Usa e Onu - scriveva nel 2014 il sottosegretario al tesoro statunitense David Cohen - contro i quali non si può agire a causa delle leggi del Qatar». Tra questi Abdul Karim al-Thani, un membro della famiglia reale di Doha accusato di aver fornito un milione di dollari in contanti e un nascondiglio sicuro a Abu Musab Al Zarqawi, il «decapitatore» iracheno precursore dello Stato Islamico. L' «arabo» a parole Gianni Infantino farebbe bene a ricordare, insomma, che i dollari del Qatar non son serviti solo a comprare il mondiale, ma anche a spegnere le vite di tanti occidentali oltre che di svariate migliaia di veri «rabi». Senza scordare che in Qatar - nonostante il plateale «coming out» inscenato a margine del suo discorso dal fido Bryan Swanson - il reato di omosessualità prevede ancora la condanna a tre anni di reclusione. Con l'eventuale aggiunta della pena capitale per i colpevoli di fede musulmana.

Ma l'edulcorata difesa inscenata da Infantino sembra cancellare anche la memoria del pranzo all'Eliseo in cui, nel 2010, Nicolas Sarkozy offrì all'attuale emiro Tamin Bin Haman al Thani l'appoggio di Michel Platini per la conquista del mondiale in cambio dell'acquisto del Paris Saint Germain e di una flotta di caccia Mirage pagata 14 miliardi di euro.

Affarucci, con sospetti di diffusa corruzione, costati la carriera a Platini e a una quindicina di membri Fifa con in testa l'ex-presidente Sepp Blatter.

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