Sport

Nole, Roger e Rafa 40 anni dopo mito Ashe

Quarant'anni fa Wimbledon ha fatto la storia e quella storia oggi è una delle tante attaccate ai muri del tempio delle racchette. Se è vero che Wimbledon è il Vaticano del tennis - così come lo ha definito lo scriba Gianni Clerici -, solo qui poteva essere quella volta che un nero battè un bianco sul verde più verde che c'è. E quella volta fu appunto quarant'anni fa. Artur Ashe, il nero che fece la rivoluzione, sapeva che solo in quel posto avrebbe potuto scrivere qualcosa di immortale e fu così che si presentò all'edizione del 1975 convinto di potercela fare: «Adesso che viaggiamo come una troupe di cani ammaestrati - diceva - e facciamo venti volte il giro del mondo in un anno, è una cosa incredibile ritornare per 15 giorni in un luogo in cui tutto funziona con amore. Darei un anno di vita, magari una mano, pur di farcela a vincere il torneo. È un posto incredibile, un posto dove tutti dovremmo vestirci puliti, di bianco. Se già non ci fosse quella regola». Già insomma, predominantly white , e quell'anno - arrivato in finale dopo aver sconfitto il futuro re Bjorn Borg - Ashe si ritrovò davanti il rampante Jimmy Connors, che un anno prima gli aveva fatto causa per via di un'esclusione dal Roland Garros e per il fatto che Ashe fosse il presidente dell'associazione giocatori. Figuratevi che roba: agli inglesi, tazzina del the in mano, queste storie piacciono parecchio e nonostante i bookmakers lo dessero largamente sfavorito (Ashe aveva nove anni in più di Jimbo), il nero mosse e vinse tra il delirio degli spettatori. «È stata più che una partita di tennis - asserì poi lo storico del gioco John Barrett -, è stata la più grande prova di intelligenza su un campo che io abbia mai visto». Connors colpiva piatto e furente, Ashe si era studiato tutto e ribatteva liftato e furbo. Finì 6-1, 6-1, 5-7, 6-4: scacco in quattro set. La Storia.

Quarant'anni dopo Wimbledon non è cambiata e da oggi vuole raccontare un altro capitolo. C'è chi lo ama e c'è anche chi lo odia, però è l'unico torneo in cui tutto è rimasto al suo posto. Si comincia di lunedì, ci si riposa la domenica di mezzo, nella prima settimana si giocano i primi tre turni, il secondo lunedì tutti gli ottavi e poi ci si alterna tra donne e uomini. Nulla cambia, se non fosse che quest'anno sono state chiaramente abolite le suole colorate (ci aveva provato Federer) e pure i bastoni per i selfie. Wimbledon dunque cerca ancora i suoi leader e i nomi sono sempre gli stessi: Serena Wiliams o Maria Sharapova tra le donne, i Fab Four tra gli uomini con Wawrinka - vincitore a Parigi - che sull'erba fatica a inseririsi. Pronostici? Il papà di Djokovic dice che suo figlio Novak diventerà il più grande di tutti i tempi, Nadal se ne è tornato prima del torneo a Manacor per rilassarsi col golf, Murray ha lodato il suo anno di lavoro con Amelie Mauresmo («e siamo passati attraverso momenti bui per arrivare qui in piena forma»), Edberg lancia il suo protetto Federer verso l'ottavo titolo: «Ce la può fare, è in grande forma». Il quale Roger chiosa così: «Ho visto Ashe solo in un documentario, purtroppo non ho potuto conoscerlo. Ma so che è una persona che ha ispirato tante persone, anche me. Era un leader». Era la storia.

Primo turno degli italiani. Uomini: Bolelli-Nishikori, Lorenzi-Veselj, Fognini-Smyczek, Seppi-Klein, Vanni-Ward. Donne: Errani-Schiavone, Vinci-Krunic, Pennetta-Diyas, Giorgi-Pereira, Knapp-Rybarikova. Tv. Sky Sport dedica 6 canali al torneo, diretta dalle 12.

30.

Commenti