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"Più che a Mennea Tortu assomiglia a me È la gioia di correre"

«C'è una sola differenza tra noi: lui ha fatto lo scientifico, io il classico... Ma ci intendiamo»

"Più che a Mennea Tortu assomiglia a me È la gioia di correre"

È la bellezza che vince, è il gesto atletico che sconfigge la rabbia agonistica, è lo sport romantico che torna alle origini, è l'estetica della fatica che si sublima nel record, nella vittoria. Filippo Tortu, la sua impresa, quel 9 e 99 correndo per e non contro qualcosa, non è un primato, non è un'impresa, è soprattutto un messaggio. Lo dice il cronometro, lo dicono i suoi gesti morbidi e gentili, lo dice un signore di nome Livio Berruti. «Filippo riconcilia con lo sport e ci riporta a come debba essere realmente interpretato: in modo sereno. In lui vedo etica sportiva».

È un ritorno al passato.

«No, è un recupero dei valori del passato, è un esempio di come lo sport debba essere vissuto. Oggi si è persa la gioiosità del praticare una disciplina. Oggi è tutto incentrato sul record. Invece, Filippo ha la forza di non affrontare lo sport in maniera assoluta, bensì complementare alla vita vera. Sa distinguere perfettamente tra i valori dell'uno e dell'altra».

Tortu ha cancellato il record sui 100 di Mennea, ma il suo punto di riferimento è un signore italiano che 58 anni fa, a Roma, vinse l'oro olimpico nei 200 con record del mondo. Lei.

«Perché come me Filippo ama fare sport con il sorriso e in leggerezza, Mennea lo affrontava con rabbia, era un modo pragmatico di stare in pista il suo, direi utilitaristico. Per Filippo la corsa rappresenta invece un momento di gratificazione, lui insegue il piacere del correre, senza l'affanno di vincere a tutti i costi ma con il desiderio di fare bella figura. Battere i rivali è una conseguenza».

Ma la vera e grande pressione, la vera notorietà invadente inizieranno adesso.

«Se cerchi, come lui, il piacere nello sport, questo poi ti aiuta ad ammortizzare le tensioni esterne, ti protegge. E poi Filippo è circondato da una famiglia splendida. Suo padre Salvino non gli fa solo da allenatore, è il suo maestro di vita. E i famigliari attorno sono un argine che lo protegge e gli insegna. Grazie alla famiglia, questo ragazzo ha già raggiunto un livello di maturità ed equilibrio che gli permetterà di non farsi contaminare dal successo».

Un giorno gli ha detto: «Filippo, io e te siamo uguali in tutto tranne che in un aspetto. Tu hai fatto il liceo scientifico, io il classico. E quindi, caro mio, sono in vantaggio io...»

«È vero. A volte lo prendo in giro... Lui mi ha risposto che nonostante non avesse fatto il classico, avevamo un modo simile di intendere la vita...».

Ma è così importante questo imprinting culturale?

«Suo papà ha frequentato il classico, recependo quindi i canoni estetici della filosofia greca. Quelli ripresi secoli dopo dal Romanticismo, nell'800, guarda caso il periodo in cui è nato lo sport. Canoni come la bellezza, l'armonia, la gioiosità del gesto atletico che sono alla base delle regole di tutte le discipline. E Filippo si vede proprio che ha un approccio più classico di altri al quotidiano».

Un filosofo della corsa.

«Direi di sì, è un atleta atipico. Applica regole diverse. Tutti cercano il risultato e basta, lui cerca il piacere della corsa. Ha un modo di correre disinvolto, sciolto, e come me non ha una grossa potenza muscolare ma sfrutta meglio degli altri le energie biomeccaniche. Si diventa esteti del gesto atletico se si rispettano i canoni della corsa. È importante, perché se ci riesci, poi sei soddisfatto e motivato anche quando ti battono. E lui corre in armonia. Sempre».

Lei viene ricordato per la curva dei 200, sembrava incollato ma leggero.

«Facevo poca fatica a percorrerla... e per me è sempre stato come l'uovo o la gallina. Non so ancora adesso se mi riuscisse così perché avevo le caviglie forti grazie al mio amore per il pattinaggio su ghiaccio o se pattinavo bene perché di natura avevo caviglie forti».

Filippo ha confidato che suo padre dopo la batteria gli aveva detto: «In finale non guardare gli altri, gli altri non esistono, metti il paraocchi e corri per te».

«Esatto. Questo è il suo segreto, ed era il mio. Non pensare al risultato. La corsa come espressione».

Ha accennato ai suoi 200. Tortu ha appena riscritto la storia dei 100 italiani, ma la sua distanza preferita è quella doppia.

«È vero. È perfetta per lui. Ha velocità, ha resistenza. Deve solo riuscire ad affrontare la curva senza pensare di dover vincere la forza centrifuga. Filippo con la sua naturalezza può superare qualsiasi ostacolo. È come se fosse alle colonne d'Ercole: sta andando verso qualcosa di sconosciuto. Ed è solo all'inizio. Ci ha già stupito e nei 200 ci stupirà ancora. E poi è già in vantaggio su di me: io feci il record del mondo a 21 anni.

Lui ne ha solo 20».

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