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Rugby, Sudafrica "Invictus" in 4 mondiali su 8. Con Mandela primo tifoso contro l'apartheid

Non partecipò alle prime due edizioni, poi ha conquistato la metà di tutti i titoli

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Le prime due edizioni il Sudafrica le ha viste alla tv. Poi ha cominciato a vincere. Lo avevano messo all'angolo a causa dell'apartheid. Se andava in tour scattavano le proteste con pacchi di farina lanciati da aerei da turismo. E chi andava a giocare a casa loro cambiava addirittura il nome.

Gli All Blacks per esempio si ribattezzarono «Cavaliers» pur di giocare tre partite con gli Springboks. Poi Mandela divenne presidente e le gazzelle tornarono a correre fino a vincere quella Coppa raccontata nel film di Clint Eastwood, «Invictus». La gazzella, odiato simbolo «boero» divenne il pretesto per riunire la «rainbow nation» attorno a quella maglia che Madiba indossò il giorno della finale. In una riunione dell'African National Congress volevano cancellarla per sempre, preferendo il fiore di protea.

A disinnescare il golpe ci pensò Mandela che in testa aveva l'idea di riappacificare il paese proprio attraverso i simboli di quelli che lo avevano rinchiuso nel carcere di Robben Island buttando la chiave. La gazzella per ora resiste anche se dal petto è saltata alla manica di una maglia che comunque ha fatto storia. Quattro vittorie in otto edizioni. La prima a Johannesburg alzata da Francois Pienaar.

«Mandela mi ha detto: grazie Francois per quello che hai fatto - non smette mai di ricordarlo l'iconico capitano di quella squadra - E io gli ho risposto, no, grazie a lei, Madiba per quello che ha fatto». Il presidente era andato spesso a trovare la squadra durante quel mondiale. Gli regalarono la maglia, si informava su tutto anche delle condizioni di Chester Williams, l'unico coloured del gruppo.

Prima della finale era francamente preoccupato della forza di Jonah Lomu, l'ala degli All Blacks capace di vincere anche da solo. E pensare che quando stava in prigione se le guardie tifavano per gli Springboks, i detenuti festeggiavano per la vittoria degli avversari. Quel drop di Joel Stransky poi cambiò il destino di una partita segnata e della stessa storia del Sudafrica. Campione del mondo per la prima volta. Poi ancora nel 2007 in Francia e in Giappone con Siya Kolisi, primo capitano di colore ad alzare la coppa in due edizioni consecutive come era accaduto all'All Black Richie McCaw tra il 2011 e il 2015. Dopo averla alzata a Yokohama, la portò a Vilakazi Street, l'unica strada al mondo che ha ospitato due premi Nobel per la pace, Nelson Mandela e l'arcivescovo Desmond Tutu. L'arcivescovo è stato l'altro massimo sostenitore della riconciliazione del Sudafrica attraverso gli Springboks. Si spinse a dire che erano stati gli angeli nel '95 a far volare quel drop in mezzo ai pali dell'Ellis Park.

E l'amicizia con Kolisi è stata forte fino alla sua morte.

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