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Sacchetti, il "romeno" d'Italia debutta contro il suo passato

L'Italbasket del neo ct sfida la Romania dove i suoi genitori cercarono fortuna. "La vita mi disse ben presto: arrangiati"

Sacchetti, il "romeno" d'Italia debutta contro il suo passato

Nel mare mosso dello sport italiano questa sera a Torino la nazionale di basket accompagnerà Romeo Sacchetti, il suo allenatore esordiente, in una storia che era scritta nelle stelle per questo poeta contadino nato nell'agosto del 1953 sotto una tenda del campo profughi di Altamura dove la sua famiglia aveva cercato riparo andandosene dalla Romania dove era rimasta ancora qualche anno dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Saranno proprio i rumeni a speronare il suo brigantino nel mare affettuoso del Pala Ruffini, nella città e nella regione dove hanno anche la comunità più numerosa. Come sempre nella sua carriera, splendida e splendente, argento olimpico, oro e bronzo europeo come giocatore, l'allenatore del triplete per Sassari nella stagione incantata del 2014-2015, tanti viaggi e tante belle storie, da Bergamo alla Sardegna, una gavetta iniziata nel 1998, il viaggio comincia come in quel campo di Altamura: «La vita mi disse arrangiati molto in fretta e il basket, per me che sognavo di fare il portiere, è stato la scoperta di un mondo, la prima cosa bella della mia esistenza».

Dovrà arrangiarsi anche stasera (ore 20.15, diretta Sky dalle 19.45 quando bambini italiani e rumeni canteranno l'inno in mezzo al campo) nell'esordio per cercare un posto ai mondiali del 2019 in Cina unico trampolino disponibile per tornare alle Olimpiadi che ci mancano dal 2004.

La Romania, allenata dal macedone Markovski, vecchia conoscenza del nostro basket, ha guidato anche Milano, per riportarlo indietro nel tempo perché tutti i suoi fratelli sono nati proprio là dove a metà dell'800 erano andati a cercare lavoro i bisnonni. Si chiamavano Sachet, i nonni paterni arrivavano da Belluno, quelli della madre, Caterina Stefani, avevano radici trentine a Castellavazzo. Abili lavoratori del porfido, dei sanpietrini, e in Romania di lavoro ce n'era tantissimo. Fu in terra romena che suo padre Pietro, morto sei mesi dopo la sua nascita in Puglia, conobbe la madre: nascono Francesco, Gilda e Virginia, che oggi non c'è più come il primo Romeo dei Sacchetti che se ne andò prestissimo, in una casa sui monti della Romania, e che gli ha regalato questo nome.

Sei mesi dopo la sua nascita, la madre, rimasta vedova, si sposta a Novara, comincia la storia italiana dell'unico dei suoi figli nato nel nostro Paese e, come ricorda l'allenatore della Nazionale, quando da piccolo rompeva qualche vetro a pallonate le sgridate erano in romeno.

Un grande viaggio, una bella storia di sport, nel basket cominciato non tanto presto ad Asti, con atterraggio fra le stelle proprio a Torino dove ha giocato dal 1979 al 1984 e dove ha iniziato la sua vita di allenatore nel 1996 due anni dopo aver chiuso la carriera sul campo a Varese.

Stasera cercherà la sua stella, deve partire bene per passare alla seconda fase in un girone con Croazia (avversaria domenica a Zagabria) e Olanda. Non è una partita semplice perché, come dice lui, l'esordio è difficile qualsiasi sia l'avversaria: «Non valuto la Romania, non dico che sia una squadra scarsa o da Nba perché la vicenda va oltre il valore di chi incontri. Finora ho avuto una risposta importante dai ragazzi, oggi professionisti, ma quando hanno iniziato lo hanno fatto per divertimento, passione, ora aspettiamo di vedere la risposta del campo. Pensiamo a vincere. Se lo faremo giocando bene anche meglio».

Per completare la storia sarebbe stato bello vedere in campo anche suo figlio Brian che invece rimarrà in tribuna insieme a Flaccadori, Gaspardo e Giuri: «Conosco il valore di mio figlio e non gli ho mai regalato nulla (erano insieme nel trionfo di Sassari), ha la forza di carattere per capire questa scelta».

Speriamo la comprendano anche quelli che andranno in campo stasera, dal recuperato Gentile a Della Valle, al Luca Vitali maestro di chiavi per questa Nazionale che non deve essere uranio impoverito dalle assenze: anche noi come dice Sacchetti, l'uomo del porfido, vorremmo vedere giocatori capaci di stupirci.

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