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Umiltà, lavoro e rispetto. La lezione di Bubu Evani all'Italia fuori dal campo

Gregario da calciatore, vice da tecnico, 3 vittorie su 3 e quella frase: "Felice perché sono stato credibile"

Umiltà, lavoro e rispetto. La lezione di Bubu Evani all'Italia fuori dal campo

Chicco Evani, la rivincita dei vice. L'Italia di Mancini non tradisce, anche quando il ct è costretto dal virus a restare lontano dalla panchina e a guidare il gruppo c'è il suo sostituto: dopo la qualificazione all'Europeo a punteggio pieno, ecco le final four di Nations league, che magari non hanno ancora il fascino delle grandi manifestazioni ma sono un termometro dello stato di forza delle varie nazionali. E oggi l'indicatore dice che l'Italia è al top d'Europa con Belgio, Francia e Spagna. Chi l'avrebbe detto solo tre anni fa dopo la disfatta dell'eliminazione mondiale?

L'Italia della rinascita porta la firma di un ex grande fantasista come Roberto Mancini, ma in questo momento anche quella di un ex gregario del pallone come Alberico Evani, uno che per anni ha corso al servizio di Gullit e Van Basten e poi proprio di Mancini e Salsano che adesso condividono con lui l'avventura dello staff azzurro. Un gregario in campo che però ha avuto i suoi momenti di gloria, come a Tokyo, quando affondò il National Medellin nella finale Intercontinentale con una sua punizione all'ultimo minuto dei supplementari; e un gregario anche in panchina dove fare il vice vuol dire essere l'ombra del ct, l'uomo che ne condivide le scelte e i tormenti, che ne sposa la filosofia ma che poi deve lasciare al Mancio i riflettori.

Per tre sere, invece, Chicco (o Bubu, se preferite) è uscito dal cono d'ombra del ct e ha portato a casa quello che serviva, la vittoria nel girone, con grande professionalità, con compostezza e saggezza. Nei fatti come nelle parole, sentendo Evani dire che «la mia soddisfazione è quella di essere stato credibile. Sono stato accettato e rispettato dai giocatori proprio per questo». Già, la credibilità, una cosa che ormai manca da troppe parti e che invece questo tecnico di grande modestia ha giustamente rimesso al centro del campo. Un messaggio che, di questi tempi, può e deve valere non solo nel calcio ma anche in ambiti che dovrebbero essere ben più alti. Un messaggio all'Italia, intesa come nazione, che va oltre l'illusorio «queste vittorie danno un sorriso agli italiani alle prese con il virus»; perché in questo momento pieno di guai, gli italiani se ne faranno ben poco di aver battuto Estonia e Bosnia, però apprezzeranno il comportamento esemplare di questo omino con i baffi che ha orchestrato dalla panchina una Nazionale che finalmente piace, nel gioco e nei comportamenti. E lo ha fatto senza agitarsi come tanti suoi colleghi assatanati a bordo campo, dimostrando che si può vincere una partita anche stando tranquilli, trasmettendo fiducia. Come faceva tanti anni un vecchio ct che conquistava i Mondiali stando seduto a fumare la pipa.

Per tre sere Evani ci ha fatto vedere che il calcio può essere ancora serenità, nel segno di quel lontano filo blucerchiato che lega i protagonisti della rinascita azzurra, lui, Mancini, Salsano, Lombardo, Nuciari, fino a Gianluca Vialli che bacia il pallone come un bambino, sapendo quale altro messaggio per la gente che soffre c'era dietro quel gesto.

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