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Viaggio fra i Gigio del futuro «Se cambia club lo seguiamo»

Per i baby delle scuole Milan prima c'è Donnarumma, poi la maglia. I papà: «Al suo posto faremmo lo stesso»

Viaggio fra i Gigio del futuro «Se cambia club lo seguiamo»

Periferia nord-est di Milano, tra il parco Lambro e via Palmanova. Da lunedì il centro sportivo «Mario Casadei» ha ricominciato a pullulare di bambini perché sono iniziati i Milan City Camp: qui c'è la Polisportiva Cimiano, che esiste da più di quarant'anni, oggi conta circa 350 tesserati dai 6 ai 16 anni e dalla fine degli anni Ottanta è una scuola calcio del club rossonero. Da queste parti sono passati un bel po' di ragazzi che poi hanno fatto del pallone un mestiere, tra gli ultimi gente come Davide Brivio che adesso è al Genoa, Jacopo Manconi del Trapani o Mattia De Sciglio, uno di quelli che sono riusciti a farsi prendere dal Milan (negli anni sono stati un'ottantina) e che poi è arrivato fino alla nazionale.

A mezzogiorno e mezza i bimbi di 7 anni hanno finito l'allenamento del mattino, quello sulla tecnica individuale, e sono a tavola che aspettano il pranzo. Cosa pensano di Donnarumma, che alla fine ha solo una decina d'anni più di loro? Un altro Mattia, un biondino simpatico che fa il portiere e guarda caso indossa proprio la maglia numero 99 di Gigio, racconta che la sera prima l'ha visto giocare con l'under 21 e ci tiene a sottolineare che ha fatto una grande parata. Dei dollari finti invece non dice nulla, e nemmeno della possibilità che vada via dal Milan. Non lo sapeva, oppure fa finta di non saperlo. In un attimo gli altri lo circondano e gli spiegano per filo e per segno come stanno le cose, snocciolando le cifre della trattativa con una precisione degna dei migliori cronisti tv.

Sarà che negli ultimi anni il Milan ha avuto pochi giocatori-copertina ma qui Gigio è l'idolo di tutti. È l'idolo di Marion, che ha tratti orientali (gli italiani di seconda generazione sono un buon 10% del totale), gioca a centrocampo, vuole «segnare tanti gol» e però si illumina appena lo sente nominare. È l'idolo di Alessandro, un tipo pragmatico che ha già pronta la soluzione: «Donnarumma cambia squadra? Va be', allora io farò il tifo per il Milan e per la nuova squadra di Donnarumma». C'è pure chi, come l'altro portiere Francesco, giura che resterà fedele solo al vecchio Diavolo. Ma lo dice con tutta la serenità di chi è ancora puro, nelle sue parole non c'è traccia dell'astio vomitato dai grandi. E poi la maggioranza la pensa come Alessandro: la lezione è che i ragazzini di oggi si legano più ai singoli giocatori che alle squadre.

Sono innocenti ma sono pure parecchio svegli. C'è Matteo che urla: «Chissene importa di Donnarumma!». «Come chissene importa?». «Sì, chissene importa, io sono della Juve, forza Juve!». «E vieni qua ad allenarti con la maglia del Milan?». «Certo! Mica siamo tutti del Milan, c'è Riccardo che è dell'Inter». Tana per Riccardo. «Senti, ma se poi diventi forte e ti tocca giocare davvero nel Milan come fai?». «Non lo dico a nessuno che sono dell'Inter!». Bisogna ammettere che è un'ottima idea, probabilmente se Donnarumma avesse fatto a meno di dire per chi tifa ora non sarebbe in questa situazione.

Arriva qualche genitore, è interessante anche ascoltare il loro punto di vista per capire come ragionano le famiglie. Roberto avrà una quarantina d'anni e dice che bisogna avere più riconoscenza per le società che fanno crescere questi ragazzi. Riccardo invece la pensa in tutt'altra maniera: «Io sono milanista, andavo in curva e ovviamente mi piacerebbe vedere mio figlio nel Milan. Ma non ci sono più i valori di una volta, non sappiamo neanche se questa società è dei cinesi o del fondo Elliott Ormai ci sono club più ricchi e più forti, quindi capisco chi pensa solo a scegliere il meglio per la carriera. Se dovessi decidere per mio figlio forse farei come Donnarumma».

La giornata è finita, i bambini giocano a biliardino mentre aspettano che li vengano a prendere. Uno scruta tutt'attorno, poi vince la timidezza e chiede: «Ma davvero sei un giornalista? Allora dimmi dove va Cristiano Ronaldo!». Capito? Ronaldo, mica Bacca o Suso. Perché alla fine l'altra lezione è questa: non solo si innamorano dei giocatori più che delle squadre, ma ormai, sempre di più, i loro eroi sono i campioni globali della Playstation.

Con tanti saluti alla nostra povera serie A.

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