Cronache

La strage di Strassera diede inizio alla guerra fredda

Portula è un comune di circa 1500 abitanti della Provincia di Biella, provincia di recente istituzione. Portula fa parte della Comunità Montana Valle Sessera. Fra queste aspre valli nel novembre del ’44, avvenne un episodio di sangue, propedeutico alla guerra fredda tra Occidente Libero e Cortina di ferro: un gruppo di agenti operativi, di nazionalità italiana, dei servizi segreti Americani (Oss, il precursore della Cia) furono massacrati, parrebbe dai futuri procedimenti giudiziari, da una formazione di partigiani comunisti capitanati dal noto Francesco Moranino, «Gemisto», futuro deputato del Pci e in quel momento comandante di un temibile distaccamento di partigiani rossi.
Moranino nel suo genere era il primo della classe, comunista ideologizzato, marxista ortodosso, scaltro e strategico, poco ricco di sentimenti, guidava i suoi uomini con gelida efficacia e li spronava a compiere atti da fare rimordere la coscienza per decenni a persone normali... ma si sa, che i tempi erano troppo duri per tutti, tempi dove la Pietas era morta.
In un quadro di pianificazione della human intelligence, i comandi americani inviano in Nord Italia un loro agente, di nazionalità italiana, Emanuele Strassera ex ufficiale monarchico, molto diffidente verso i nuclei armati comunisti, che venivano chiamati, comunemente, partigiani garibaldini. Il suo compito era di osservazione, coordinamento tra la Resistenza e il Comando Alleato e su tali argomenti doveva inviare rapporti dettagliati ai suoi contatti Oss in Svizzera.
Strassera, uomo d’azione, sbarca nel golfo di Genova, da un mezzo sottomarino, in modo avventuroso, raggiunge il Piemonte passando per l’Appennino, prende contatti con le formazioni di patrioti non comunisti, con il loro aiuto raggiunge l’alto Piemonte, comincia ad infiltrarsi nel Vercellese e nel Biellese ed inizia a osservare la realtà della Resistenza, molto articolata e complessa in quell’area.
L’agente Oss recluta tra i partigiani non comunisti, quattro collaboratori fidati: Gennaro Santucci, Ezio Campasso, Mario Francesconi e Giovanni Scimone.
Attenti conoscitori della realtà locale, della posizione dei reparti fascisti e di quelli partigiani, i 5 agenti capiscono immediatamente che gli obiettivi delle formazioni comuniste, sono sì la eliminazione del Fascismo, ma soprattutto il cambiamento violento e radicale della società italiana attraverso l’eliminazione dei ceti borghesi, cattolici e non comunisti, mediante l’uso delle armi: in pratica una rivoluzione proletaria armata vera e propria.
Viene in gran segreto approntato un rapporto riservatissimo, che fotografa senza mezzi termini la grave situazione che vede sempre più egemoni le formazioni partigiane comuniste, e si decide di portarlo direttamente in Svizzera ai contatti dell’Oss. Il problema è che le linee di comunicazione sono controllate, dai fascisti o dalle formazioni comuniste, oggetto proprio del pericoloso rapporto.
Strassera chiede una scorta ai partigiani, senza sapere che saranno i suoi boia e che elimineranno anche i suoi collaboratori. Infatti, forse per timore che il rapporto arrivi ai comandi alleati, e che cessino i lanci di materiale, i 5 agenti del Servizio segreto americano vengono brutalmente assassinati e depredati di ogni avere. Chi compie materialmente la strage è un gruppo di partigiani comunisti, scelti dal loro capo, per la loro ferocia e per le scarse attitudini umane.
I loro corpi privi di vestiti, dopo l’eccidio, vengono lasciati nella campagna di Portula. Era il 26 novembre del ’44.
Ma le armi dei partigiani comunisti, non si fermarono qui... il 9 gennaio del 45, due donne, Maria Santucci e Maria Francesconi, mogli di due dei collaboratori dello Strassera vengono uccise con un colpo alla nuca. Le due donne cercavano di fare luce sulla strage dei loro congiunti avvenuta a Portula.
Venne accreditata la voce che la responsabilità dei sette omicidi fosse dei fascisti. I compagni sono abili a creare favole e a diffonderle.
A guerra finita, i familiari dei 5 partigiani fucilati e delle 2 donne uccise presentarono alle autorità delle prove frutto di loro indagini informali. A seguito di queste prove vennero avviate delle indagini ufficiali che orientarono le responsabilità sul partigiano Francesco Moranino, Capo riconosciuto delle brigate combattenti comuniste nel Vercellese e nel Biellese che nel frattempo era diventato deputato del Pci soprannome di battaglia Gemisto.
Gemisto, fu accusato dell'eccidio dei 5 membri della «Missione Strassera», il 26 novembre 1944 in località Portula, attirandoli in un’imboscata e della sorte che il 9 gennaio 1945 toccò a due spose degli uccisi.
Il 27 gennaio 1955 la Camera dei Deputati, con maggioranza di centrodestra, votò l’autorizzazione a procedere nei confronti di Moranino (allora deputato del Pci, fu la prima autorizzazione a procedere concessa dal parlamento) su richiesta della Procura di Torino; l’accusa era di omicidio plurimo aggravato e continuato ed occultamento di cadavere, ma Moranino nel frattempo si era rifugiato in Cecoslovacchia, dove faceva lo speacker a Radio Praga, diffondendo via etere, odio verso l’Italia e gli Italiani.
Nel ’56, contumace, Moranino fu condannato all’ergastolo per i 7 omicidi.
Nel ’58 il Presidente della Repubblica Gronchi commutò l’ergastolo in dieci anni di reclusione e nel ’65 Saragat graziò Moranino, inoltre i suoi omicidi vennero considerati atti legittimi di guerra e quindi il serial killer rosso, poté ornare in patria, dove fu eletto ancora una volta deputato per il Pci.
Si dice che l’orrore non ha mai fine, anche se a volte accade il contrario: un infarto si prese Moranino ad appena 51 anni e lo portò nell’aldilà a fare i conti con centinaia di anime di morti ammazzati nel Vercellese, nel Biellese e nel Novarese.

I loro corpi marcirono, galleggiando nei canali, nelle rogge, nelle risaie, sui sentieri di uno dei più grandi mattatoi del Piemonte, in fondo la strage della squadra Strassera fu solo un episodio di una saga bestiale ed inumana.

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