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Ma sui cani un po’ di razzismo ci vuole

Lettera aperta al sottosegretario Martini. Utopico applicare le stesse misure di sicurezza a un pitbull e a un bassotto. E che significa "museruola in caso di bisogno"?

Ma sui cani un po’ di razzismo ci vuole

Gentile sottosegretario Francesca Martini, quale felice possessore di un dolcissimo esemplare femmina di golden retriever attendo con ansia di leggere, oggi, la sua ordinanza sui cani che, da quanto è stato anticipato, minaccia di influire abbastanza profondamente sulle abitudini mie e della mia compagna di passeggiate. Capisco: gli ultimi episodi hanno creato grande allarme e poi, proprio perché, diciamo così, «frequento l’ambiente», sono il primo a sapere che in giro ci sono bestie pericolose. A quattro e a due zampe.

La mia, dunque, non vuole assolutamente essere una protesta. Comprerò il guinzaglio da 1,5 metri (quello che ho in dotazione eccede la misura di una ventina di centimetri) anche se fatico a comprendere la fondamentale differenza e mi pare che il severo diktat contrasti con la proclamata volontà di responsabilizzare il padrone. Ma tant’è, in tempi di crisi i consumi vanno stimolati. Perciò acquisterò pure la museruola «da usare in caso di bisogno», anche se il comportamento più pericoloso del mio cane consiste nel suo continuo scodinzolare festoso (che, certo, potrebbe colpire qualche passante) e, più in generale, stento a immaginarne l’utilità «in caso di bisogno». Che cosa significa? Che la museruola va messa quando l’animale aggredisce qualcuno? Mi sembra esercizio complicato e tardivo. Prima? Ma allora vuole dire: sempre. Cosa che non mi pare (per fortuna) lei intenda proporre. L’impressione è che la museruola diventerà come quei giubbotti catarifrangenti di cui qualche anno fa hanno costretto tutti gli automobilisti a munirsi e che nessuno ha mai indossato, senza la minima conseguenza. Comunque, poco male: misura probabilmente superflua ma innocua, verserò l’obolo.

Più complesso potrebbe essere capire quando il cane deve essere tenuto al guinzaglio. In città, va da sé. Ma se, come ho letto, si utilizzerà l’ambigua formula «luoghi aperti al pubblico», i contenziosi potrebbero moltiplicarsi. Sulle colline intorno alla mia (e sua) città, gentile sottosegretario, la mia Stella può trotterellare libera? E se no, questo semplicemente significa che abbiamo abolito, tanto per dire, la caccia con i cani? Basta saperlo. Così come mi piacerebbe sapere la storia del patentino: retroattivo? Se è per tutti, impossibile. Preventivo, dunque. Ma per chi? Solo per l’aspirante proprietario o anche per i parenti che, all’occorrenza, provvedono a far fare il giretto intorno all’isolato? E, soprattutto, per tutte le razze di cani?

Ecco, signora Martini, a me pare che il vero problema sia il bellissimo assunto che sta alla base di tutto il provvedimento: «non esistono razze di cani pericolose, esistono solo padroni non all’altezza». Ora, sarà anche vero che, se allevato e guidato (sempre!) nel migliore dei modi possibili, nessun cane è pericoloso. Ma nella realtà, non prendiamoci in giro: poiché pochissimi di noi sono addestratori provetti, tra un rottweiler e un barboncino qualche apprezzabile differenza mi sembra si possa ancora cogliere. E non si tratta solo di stazza e, di conseguenza, di capacità di infliggere ferite: anche se non sono affatto dettagli trascurabili. Sto parlando di aggressività, di carattere dominante piuttosto che sottomesso. Sto parlando di come sono stati selezionati cani destinati alla difesa o alla guardia, rispetto a cani da caccia o da compagnia. Sto dicendo che, in questa materia, un po’ di sano razzismo forse andrebbe preso in considerazione.

Pensare di applicare le stesse misure di sicurezza a un pitbull e a un bassotto sconfina nell’utopia. A un mastino napoletano il metro e mezzo di guinzaglio gli fa un baffo se a impugnarlo è un bipede che pesa la metà di lui: o il padrone è in grado di farsi obbedire, oppure è come dare un fucile a un bambino. In questo caso, se non vogliamo dar retta a chi dice che certe razze andrebbero semplicemente proibite, l’idea del patentino può funzionare: solo chi passa l’esame può possedere un dogo argentino (anche se, personalmente, continuo a chiedermi chi glielo fa fare), gli altri si accontentino di un cocker.

E allora, signora Martini, a nome di centinaia di migliaia di padroni di cani «normali», spesso le prime vittime delle zanne di certi energumeni, le propongo un patto: noi facciamo i bravi, cambiamo tutti guinzaglio e compriamo tutti la museruola. Ma lei, per favore, ripensi all’idea di abolire la lista delle razze pericolose, quelle che, statistiche alla mano, sono responsabili praticamente di tutte le aggressioni mortali. Se restringe il campo, forse può obbligare a sostenere un esame anche coloro che già possiedono un’arma a quattro zampe.

E, se del caso, disarmarli.

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