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Svolta di Ratzinger sulla liturgia: via libera all’antica Messa in latino

Benedetto XVI ha firmato il testo del «motu proprio» che renderà più facile l’uso dell’antico messale preconciliare nelle celebrazioni liturgiche chiarendo che esso non è stato mai abolito o vietato e rappresenta, invece, una ricchezza per la Chiesa

Svolta di Ratzinger sulla liturgia: via libera all’antica Messa in latino

da Roma

Benedetto XVI ha firmato il testo del «motu proprio» che renderà più facile l’uso dell’antico messale preconciliare nelle celebrazioni liturgiche chiarendo che esso non è stato mai abolito o vietato e rappresenta, invece, una ricchezza per la Chiesa. C’è un precedente rimasto fino ad oggi segreto che riguarda le ragioni di questa decisione, un testo che i cardinali della Congregazione per la dottrina della fede avevano preparato nel novembre 1982 e che il Giornale è in grado di rivelare.
La pubblicazione del «motu proprio» dovrebbe avvenire nei prossimi giorni, probabilmente già prima dell’inizio delle vacanze del Pontefice. Si tratta di una decisione ponderata, seguita a lunghe consultazioni collegiali, che Ratzinger ha preso per venire incontro alle istanze dei fedeli rimasti legati all’antica liturgia. Già Giovanni Paolo II, con l’indulto, aveva previsto la possibilità di utilizzo del messale preconciliare e aveva chiesto ai vescovi di essere generosi nel concedere la vecchia Messa. In molte diocesi, però, i fedeli tradizionalisti si sono scontrati in questi anni con rifiuti spesso immotivati. Anche per questo Benedetto XVI, che da cardinale ha riflettuto spesso sugli esiti della riforma liturgica, intende fare un passo avanti. Il testo del «motu proprio» sarà accompagnato da una lettera papale, nella quale sono spiegate le ragioni profonde di questo passo, chiedendo ai vescovi disponibilità, pazienza e «comprensione».
Già il 16 novembre 1982, su richiesta di Papa Wojtyla, una riunione presieduta da Ratzinger, allora Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, alla quale presero parte i cardinali Baggio, Baum, Casaroli (allora Segretario di Stato), Oddi e l’arcivescovo Casoria, aveva sancito che «il messale romano nella forma in cui è rimasto in uso fino al 1969, indipendentemente dal «problema Lefebvre» doveva «essere ammesso dalla Santa Sede per tutte le Messe celebrate in lingua latina». A due condizioni: l’uso dei vecchi libri liturgici doveva presupporre la piena accoglienza delle nuove norme emanate dopo il Vaticano II e non doveva esprimere il sospetto che queste ultime «fossero eretiche o invalide»; nelle Messe pubbliche celebrate nelle parrocchie, la domenica e le festività, doveva essere osservato «il nuovo calendario liturgico». Tutti i cardinali, all’unanimità, risposero dunque «affirmative», cioè «sì», alla domanda se fosse lecita la Messa con l’antico rito. Inoltre, in quella riunione, fu anche auspicato un documento contro gli abusi liturgici, individuati fra le ragioni «della crisi attuale della Chiesa» e, in un futuro remoto, una sintesi «dei due messali». Quel futuro è oggi un po’ meno remoto. La decisione di Benedetto XVI non è dunque un passo indietro, ma una tappa della riforma liturgica voluta del Concilio e non ancora pienamente attuata.
Nella lettera di presentazione, Benedetto XVI risponderà preventivamente alle obiezioni sollevate contro la liberalizzazione dell’antico messale, e cioè la «mancanza di obbedienza al Concilio» e la «rottura dell’unità». Innanzitutto Ratzinger ha già ricordato – nel 1998 – che «non è stato il Concilio a riformare i libri liturgici» ma che «esso ne ha ordinato la revisione e, a questo fine, ha fissato alcuni principi fondamentali» definendo che cos’è la liturgia, e fornendo «un metro di giudizio» per ogni celebrazione: ignorando queste regole essenziali e le norme prescritte dalla costituzione conciliare, «allora sì che si disubbidisce al Concilio!». Inoltre, Ratzinger ha già più volte spiegato che «nel corso della sua storia la Chiesa non ha mai abolito o proibito forme ortodosse di liturgia, perché ciò sarebbe estraneo allo spirito stesso della Chiesa», in quanto «una liturgia che esprime la vera fede non è mai una raccolta fatta secondo criteri pragmatici di cerimonie diverse, manipolabili ad arbitrio, oggi in un modo e domani in un altro». Ma è, invece, una realtà vivente «espressione della vita della Chiesa, in cui si condensano la fede, la preghiera e la vita stessa delle generazioni, dove è incarnata nello stesso tempo in forma concreta l’azione di Dio e la risposta dell’uomo». Il Concilio ha dunque ordinato una riforma dei libri liturgici, ma non ha proibito i libri precedenti. Infine, il Papa ricorderà che «sono sempre esistite molte forme del rito latino». In effetti, fino al Vaticano II, a fianco del rito romano c’erano l’ambrosiano, il mozarabico, quello di Braga, quello di Chartreux, quello dei certosini, quello dei domenicani. «Nessuno si è mai scandalizzato – aveva detto Ratzinger – che i domenicani, spesso presenti nelle nostre parrocchie, non celebrassero come i preti secolari ma seguissero un rito proprio.

Non abbiamo mai avuto alcun dubbio che il loro rito fosse cattolico al pari di quello romano ed eravamo fieri della ricchezza di tante diverse tradizioni».

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