Politica

Tasse sulla benzina: paghiamo ancora la guerra d’Etiopia

Roma - Paghiamo ancora il sogno di Mussolini e la prima missione militare dell’Ulivo. La guerra d’Etiopia del 1936 e quella in Bosnia del ’96. Scosse, inondazioni, crisi internazionali. Sono passate guerre e terremoti, frane e alluvioni, quello che c’era da ricostruire è stato ricostruito, e ciò che era da distruggere, nel caso delle guerre, è stato distrutto. Tutto questo è storia. Ma è anche tassa. Sono le tasse invisibili, che non si chiamano più con il loro nome, ma che gravano ancora sui cittadini dopo decenni, cambi di governi e addirittura di ordinamento politico. Sono le accise sulla benzina.

Il "pieno"
Un recente studio dell’istituto Bruno Leoni condotto con il presidente della commissione Attività Produttive della Camera Daniele Capezzone ha quantificato le accise in 28,2 euro ogni pieno di carburante (calcolato sui cinquanta litri).
Le accise finiscono ora tutte allo Stato, «concorrono a determinare il livello di gettito», precisa il ministero dello Sviluppo economico di Pierluigi Bersani. Difficile pensare che ci siano ancora debiti da pagare per la guerra d’Etiopia del ’36, ma quella tassa ancora c’è: 1,90 lire al litro (più o meno 0,001 euro). Non ha quel nome, è antica, assurda e anacronistica, ma è rimasta in termini quantitativi, come l’accisa per la frana del Vajont del 1963 (10 lire), quella per la crisi di Suez del ’56 (14 lire), il terremoto del Belice del ’68 (10 lire). E così via, fino alla missione in Bosnia del 1996 (22 lire) e al contratto degli autoferrotranvieri del 2004 (0,02 euro).

"Sono scippi"
Gli italiani non pagano più queste catastrofi e queste guerre ma le tasse, anche se «fantasma», rimangono. Fanno parte di un’enorme tassa ormai indistinta. Nonostante quelle emergenze, e quegli errori, non esistano più, le imposte sono solo svuotate di nome, ma rimangono in piedi. «Non sono neanche tasse fantasma, sono scippi - ammette Capezzone al Giornale - Molti italiani non sanno che su dieci euro di benzina ne pagano quasi sette di tasse. Io quest’estate ho fatto la proposta di ridurre le accise ai livelli minimi dell’Unione europea. Immaginiamoci che ogni volta che andiamo a fare benzina c’è il sorriso di Visco alla pompa».
Ma in questo caso non è solo colpa del governo (invitato comunque a intervenire). È eredità. I cittadini continuano a pagare per la loro storia. Non nelle coscienze, ma nel portafoglio. «La guerra d’Etiopia la facciamo tutti i giorni mettendo le mani in tasca agli italiani», conclude Capezzone: «È rimasto anche adesso quel vizio statalista». Nonostante le sue insistenze, e di quelle di molte associazioni di consumatori, le imposte sulla benzina rimangono ancora invariate. Il calcolo annuo della storia italiana in termini di tassa sul carburante porta a cifre altissime.

Guerra e pace
Considerando un consumo medio di circa 40 miliardi di litri di benzina, risulta che per l’Abissinia gli italiani pagano ancora circa 40 milioni di euro l’anno. Altri 200 milioni sono per Vajont, alluvione di Firenze e terremoto del Belice, 2 miliardi l’anno per il terremoto del Friuli del ’76 e 1,5 miliardi per quello dell’Irpinia del 1980. La guerra in Bosnia costa ancora 400 milioni di euro l’anno, la missione in Libano dell’83, 4 miliardi di euro. Complessivamente dal benzinaio il 41,51% se ne va in queste gabelle.
Dal ministero di Bersani precisano che le accise in Italia sono in linea con quelle degli altri Paesi europei e che sono composte da tasse che ormai possono definirsi «solo indicazioni storiche». Tasse senza nome, va bene.

Ma senza senso.

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