Economia

La tecnologia delle capsule lunari nelle pentole disegnate da Porsche

Fondata nel 1903, l’azienda ha ricevuto i premi internazionali più prestigiosi

Fa pentole. E grazie a quelle pentole colleziona anche premi. Anzi, Vito Barazzoni è il primo ad avere introdotto il design in questo campo: non solo pretende che le pentole siano fatte bene ma vuole che siano anche belle. Così con Tummy vince il premio Macef nel 1970, il premio Vienna nel 1971, il Compasso d'oro nel 1979.
Quasi dieci anni più tardi, nel 1988, la sua linea Luci&Ombre, prodotta in modo rivoluzionario utilizzando il titanio e disegnata da Ferdinand Alexander Porsche, il nipote del fondatore dell'omonima auto, viene esposta al Philadelphia Museum of Art e l'anno dopo al Chicago Athenaeum. E con My Lady, altro prodotto all'avanguardia firmato dall’architetto milanese Claudio Bellini e in cui le linee futuristiche sono morbide ma contenute in forme geometriche ben definite, ottiene nel 2004 uno dei più importanti premi di design a livello internazionale, il Red Dot di Essen. Nel 2005 vince poi il Good Design Award di Chicago, vale a dire la quintessenza del design. Ora l'azienda è stata selezionata per il Designpreis 2006 della Repubblica tedesca, il «premio dei premi» che riconosce i prodotti «migliori tra i migliori».
Commenta Barazzoni: «Siamo un'azienda con cento anni di storia alle spalle. E da sempre siamo convinti che solo il prodotto italiano firmato, quello autentico, realizzato nel nostro Paese con l'innovazione, le idee e la qualità, possa avere successo».
Meglio il basso profilo. Barazzoni parla ricorrendo talvolta al plurale majestatis. Civetteria? Nemmeno per sogno, lui semmai è per il profilo basso. Ma vuole in questo modo fare comprendere che in azienda ora non c'è più solo lui a prendere le decisioni ma che la gestione operativa è affidata già da qualche anno ai due figli, Andrea e Alberto, mentre per sé ha mantenuto il ruolo di presidente. Anche se in realtà Vito Barazzoni, classe 1937 e imprenditore della terza generazione ma con le tipiche caratteristiche di uno della prima, e cioè tutto casa e azienda, continua ad essere ogni giorno presente in fabbrica ad Invorio, in provincia di Novara, a due passi da Arona. È, insomma, un punto di riferimento costante. Ora arriva nel suo ufficio alle 9 del mattino quando prima c'era già alle 8,30. Ma un motivo del cambiamento c'è: una volta abitava a 50 metri metri dall'azienda, da qualche tempo vive sul lago tra Arona e Meda.
Il primo distretto. All'inizio della storia Barazzoni c'è Giovanni Battista, classe 1875, il quale nasce ad Invorio, terra di emigranti (ma non all'estero, la meta privilegiata è la Liguria) e di abili lavoratori di latta, ottone e rame. Sono talmente abili da trasformare nel tempo quell’area nel distretto italiano del casalingo e del pentolame. A anche Giovanni Battista emigra e a Sampierdarena, nei pressi di Genova, fa l'aiutante di un commerciante di articoli casalinghi. Impara quel che c'è da imparare, quindi nel 1903 si mette in proprio aprendo nella zona un laboratorio per produrre brocche, pentole e caffettiere. Ed assume anche dei dipendenti, tutti originari di Invorio: alcuni lavorano nell'officina, altri girano i paesi della costa e dell'entroterra ligure con il carrettino per vendere gli oggetti. Quattro anni più tardi Barazzoni decide di ritornare al paese natio e di aprire lì una fabbrichetta specializzata sempre in casalinghi. L'azienda è addirittura la prima del paese. Negli anni Trenta gli subentra il figlio che curiosamente ha lo stesso nome del padre, Giovanni Battista. Ma tutti finiscono per chiamarlo Neni. L'azienda ha in catalogo più di 1600 pezzi, utilizza anche nuovi materiali come l'alluminio e la lamiera zincata, poi con la guerra si converte parzialmente alla produzione bellica realizzando capsule per bombe, fanali per le navi, borracce per gli alpini.
La scoperta del Triplen. Nel dopoguerra la Barazzoni riprende slancio nei casalinghi facendo ricorso all'acciaio inossidabile, materiale con caratteristiche di maggiore igienicità e durata rispetto all'alluminio ma anche molto meno duttile. Il grosso neo dell'acciaio è infatti la diffusione del calore. Così la Barazzoni, già allora all'avanguardia nella tecnologia, è tra le prime aziende al mondo ad applicare un fondo ad una pentola in acciaio grazie ad uno studio del Politecnico di Milano. Il fondo consente di diffondere in modo più omogeneo il calore all'interno del recipiente, attribuendo quindi un notevole valore aggiunto al prodotto. Questo procedimento innovativo, ottenuto abbinando al corpo in acciaio della pentola un disco di rame ed uno di acciaio con l'aggiunta di una lega d’argento, viene chiamato Triplen. Le vendite decollano.
Nel 1965 entra in azienda Vito Barazzoni, il figlio. Una sorella più grande, liceo classico a Varallo Sesia nel collegio D'Adda, Vito non è in quegli anni ancora tutto casa e lavoro come sarà invece più tardi: fa parecchio sport, dal calcio allo sci, dall'atletica alla vela a livello agonistico; va all'università, alla Cattolica di Milano, laureandosi senza fretta in economia con una tesi sugli aspetti tecnologici e merceologici delle pentole in acciaio inossidabile; impara al lavoro tutti i vari aspetti del pentolame, dalla produzione alla vendita. Finchè, riconoscerà, «col passare del tempo mi trovai sempre più impegnato nel lavoro». In particolare dopo la morte del padre, nel 1984. E del padre fa suo un concetto: «Se disegniamo noi il vasellame, siamo uguali agli altri. Ma se lo facciamo disegnare dagli specialisti, allora saremo molto competitivi». Concetto messo in pratica già da papà negli anni Settanta con la linea Tummy, disegnata da Ennio Lucini e con una innovativa forma bombata quando tutte le pentole avevano una forma cilindrica. Il successo è enorme, la produzione non riesce a stare dietro alle richieste, le consegne avvengono sei-otto mesi più tardi.
L’incontro con Porsche. Vito Barazzoni spinge molto sul pedale del design. Crea la Barazzoni Progetti, si rivolge a Ferdinand Alexander Porsche, il creatore della storica Porsche 911, che disegna la linea Luci&Ombre, con il nome dovuto al forte contrasto tra il lucido e il nero, e con utilizzo di tre metalli: acciaio inox all'interno, strato di alluminio sul fondo e sulle pareti, titanio all'esterno per non fare disperdere il calore sull'esempio di quanto fatto dagli scienziati americani che hanno rivestito di titanio le capsule lunari. E arrivano nuovi, prestigiosi riconoscimenti. A metà degli anni Novanta entrano in azienda, uno dopo l'altro, i due figli: Andrea, 1970, quasi una laurea in economia a Pavia, e Alberto, 1972, ragioniere. E con loro inizia una profonda automazione della Barazzoni. In particolare viene perfezionato il metodo chiamato «Impact Bonding» che consiste nel battere la piastra della pentola con una pressa a vite della forza di 10mila chili, generando, spiega Vito Barazzoni, «un impatto violento. E sfruttando lo scorrimento dell’alluminio all'interno della capsula, consente un perfetto ancoraggio del fondo preservandolo da ogni tipo di sollecitazione».
My Lady per il centenario. Per festeggiare il centenario, la famiglia Barazzoni fa disegnare a Claudio Bellini la linea My Lady, quella che ottiene premi come se fossero noccioline. Il Good Design Award di Chicago pone addirittura la Barazzoni al livello di altre grandi marche che hanno ottenuto questo riconoscimento, dalla Bmw all'Ibm, dalla Toshiba alla Samsung. E con un altro designer, Maurizio Duranti, l'azienda nata per fare pentole allarga l'attività anche all'oggettistica, in particolare quella destinata alla cosiddetta «lista nozze». Anzi, dice Vito Barazzoni, «il nostro è un prodotto lista nozze per la vita». Oggi la Barazzoni comincia a guardare con maggiore interesse all'estero. Ha filiali commerciali a Barcellona e Singapore, dalla fine del 2004 è approdata anche in Cina dove ha aperto una quarantina di shop in shop, vale a dire aree espositive all'interno dei grandi department stores. Molti, spiega Barazzoni, «fanno realizzare pentole in Cina, costano quasi il 70% in meno rispetto a quelle prodotte qui da noi.

Al contrario noi produciamo in Italia e vendiamo in Cina dove ci siamo collocati nella fascia alta del mercato».
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