La faglia passa sotto un ponte coperto dall'erba, il Ponte della Stecca. E' una fenditura della  terra che attraversa il lago. Per arrivare fin qui dall'Aquila si percorrono quaranta minuti di  strada e non s'incontra nessuno. Solo un vecchio, quasi a destinazione: saluta con la mano in  segno di riconoscenza per chi si avventura in questa montagna abbandonata. 
Una foschia umida accompagna il viaggio lungo quella che gli abitanti di qui chiamano la seconda  faglia, la crepa delle viscere terrestri che scende dai Monti della Laga e sfiora un paese  famoso per il lago artificiale e per le mortadelle: Campotosto, 1420 metri sul livello del mare,  nel cuore del Gran Sasso. Molti aquilani qui avevano la seconda casa, ci si veniva la domenica,  prima che il terremoto si portasse via anche i week end. 
Ma adesso di Campotosto si è parlato tanto per la storia della diga: la commissione Grandi  rischi convocata dalla Protezione civile la scorsa settimana ha stabilito che non c'è alcun  pericolo. La struttura, anzi le strutture, perché le dighe sono tre, reggono. Ma c'è la paura di  una scossa che passi qui vicino, sulla famosa seconda faglia. Un'ansia non supportata dai dati:  «Abbiamo assistito nei giorni scorsi a una serie di repliche in questa zona - spiega al Giornale  Nicola D'Agostino, ricercatore dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) - ma  non si può parlare di attivazione della faglia».
Però i guardiani stanno zitti. Hanno avuto l'ordine di non parlare con nessuno di come si stanno  comportando il lago e la diga. Gianfranco sorveglia la diga della Provvidenza, la prima che  s'incontra salendo verso Campotosto. E' uno sfollato dell'Aquila. Ha perso la casa ma la sua  famiglia è in salvo. Due settimane di pausa ed è tornato al lavoro. Di giorno sta nel posto di  guardia, la sera però si rifugia in un container del giardino. Il lago lo controlla a vista, con  i suoi occhi esperti, e con gli strumenti, le macchine che ne regolano il livello: il bacino  artificiale è al 51% della sua capacità, viene tenuto basso apposta.
Ma qui non fa paura l'acqua, fa paura il terremoto. Il paese si trova sopra il lago, lo guarda.  le dighe si vedono dall'alto. Ma è disabitato dopo la scossa del 6 aprile: per il terrore di  quella notte e per il sospetto che il terremoto si sposti in questa zona. I danni sono visibili,  anche la chiesa non ha retto completamente al sussulto più forte, il primo. Settecento persone,  tutti gli abitanti, sono fuori dalla case. Anche il Comune si è trasferito nella tendopoli alle  pendici del paesino. Dal municipio abbandonato esce Ruggero Manzolini, assessore «alle finanze  che non ci sono». Si presenta: «Siamo proprio sulla faglia - dice - qui il 6 aprile il terremoto  l'abbiamo sentito bello forte. Sulla diga si è creato allarmismo, è per il terremoto in realtà  che in paese di notte non ci sta nessuno». Gli anziani dormono tutti insieme in una struttura a  un piano, un ex asilo, che è diventato il loro circolo ricreativo e la loro casa comune. Gli  altri in tendopoli. A Mascioni, un piccolo borgo più in basso, nessuno dorme più sotto a un  tetto.
Ed è completamente disabitata anche la frazione di Ortolano, che si trova sotto il lago. Settanta abitanti, tutti hanno abbandonato la loro casa. Nei giorni scorsi qui c'è stata anche  una frana.
Era un luogo di villeggiatura, ma adesso anche le mortadelle è difficile trovarle. Solo i pastori, verso il passo delle Capannelle, continuano a lavorare con il loro gregge.